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Claudio Strinati racconta Caravaggio

Dalla Lombardia all'esordio pubblico romano

In questa intervista, lo storico dell'arte Claudio Strinati (1948), ex soprintendente del Polo Museale romano, racconta le origini di Caravaggio a Roma (Maestri, 2020).
Di Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610), in tempi recenti è stato trovato l'atto di nascita e qualche documento attestante gesta burrascose a Milano, ma di opere del periodo lombardo di formazione non c'è traccia.
Data 1597, il primo documento che attesta Caravaggio a Roma, e tuttavia, buona parte degli studiosi dell'artista, ad iniziare da Roberto Longhi che lo ha "riscoperto" con la mostra del 1951 (Longhi e Caravaggio, artista moderno e 'popolare'), fino a Tomaso Montanari (La vera natura di Caravaggio), ritiene sia arrivato nell'Urbe almeno tre o quattro anni prima. 
Strinati ha una sua visione molto originale circa questo documento (ipotesi di cui qui non parla), secondo la quale, Caravaggio nei primissimi anni romani non aveva dipinto nulla di importante, almeno fino alla sua uscita dalla bottega del manierista Giuseppe Cesari, detto Cavalier d'Arpino (1568-1640), pittore in voga negli ambienti della committenza romana.

Ho idea che Caravaggio abbia cominciato a dipingere per davvero più tardi di quanto non si creda, forse quando, spinto proprio da Prospero Orsi che ne aveva riconosciuto subito il genio, si sarebbe convinto ad abbandonare la bottega di Arpino
Claudio Strinati

Da antiche fonti di biografi (Gaspare Celio: 1571-1640; Pietro Bellori: 1613-1696), infatti, sappiamo che Caravaggio fu introdotto negli ambienti importanti di Roma dal pittore e amico Prospero Orsi (1560-1630), detto Prosperino. Per Strinati, questi fu una figura importantissima che spinse il Merisi verso scelte iconografiche e stilistiche inedite, come il recupero del fare alla "giorgionesca", un gusto più moderno ed affascinante, rispetto al freddo manierismo romano. 
La certezza del viaggio a Venezia, prima di Roma, a questo punto, per il critico diventa secondaria. Certa ed attestata invece, è la frequentazione a Milano della bottega di Simone Peterzano (1535-1599), artista originario della Serenissima, allievo di Tiziano ed attento stimatore di Tintoretto e soprattutto Paolo Veronese


Caravaggio, Canestra di frutta, 1595-1600 ca., olio su tela, 46×64cm, Pinacoteca Ambrosiana, Milano

Secondo Strinati, le opere che parte della critica attribuisce a Caravaggio negli anni compresi tra il 1592 e il 1596, furono in realtà dipinte nel giro di un anno, tra il 1596 e il 1597. Si tratta di importanti lavori giovanili quali, Bacchino malato, Ragazzo morso da un ramarro, Bacco, Canestra di frutta, Ragazzo con canestro di frutta e Suonatore di liuto, quest'ultimo, definito da Strinati "un Giorgione a Roma a fine del Cinquecento".


Caravaggio, Suonatore di liuto, 1597, dett., olio su tela Metropolitan Museum 

Orsi è stato non solo un sostenitore del Merisi, ma il creatore di un artista che, da semplice apprendista, lascia il mondo dei mercanti per dirigersi verso una committenza più illuminata e potente, quale fu quella del Cardinale Del Monte. 
Caravaggio entrava nel ristretto cenacolo del Cardinale, un gruppo per pochi eletti amanti delle arti, della musica e della nuova scienza galileiana (Giordano Bruno e Caravaggio, tra luci e ombre). A casa Del Monte, dove Caravaggio soggiornava per un periodo, vigeva una cultura laica di cui Giorgione, all'epoca, era il vessillo. 


Caravaggio, I bari, 1594, olio su tela, 94×131cm, Kimbell Art Museum di Fort Worth

Caravaggio dipinse per sé e per pochi intenditori le sue prime opere: scene di genere, come Suonatore di liuto, o i Bari, rappresentavano qualcosa di molto privato che Del Monte, condivideva con pochi e stretti sodali dall'occhio esperto.

Nella Roma degli ultimi anni del Cinquecento, l'arte rivestiva un ruolo importantissimo, per il papato era quasi necessaria in vista di un Giubileo che, nel 1600, avrebbe aperto chiese e conventi 

In una vera e propria controffensiva, la chiesa cattolica stava preparando il terreno contro l'eresia protestante e per far ciò, moltissimi furono gli artisti chiamati a collaborare in grandi commesse. 
Secondo Strinati, questo spiega una certa anomalia della produzione caravaggesca di quegli anni che, da ricercati "quadri da stanza", per colti amatori, sarebbe passata a commissioni pubbliche di considerevole valore, come la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (1599-1600), alla quale seguiranno la Cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo (1600-1601), Sant’Agostino (1604-'06), fino alla Madonna dei Palafrenieri (1606) per San Pietro.
Strinati mette il luce la “doppia faccia” di Caravaggio nella scena romana, una posizione che lo vede da un lato, uomo solitario, chiuso, dai modi bruschi e privo di gentilezze, dall’altro, una personalità mondana, inserita nell'alta società del tempo, amico e collaboratore di personalità illustri, sia ecclesiastiche, come i cardinali Federico Borromeo e Del Monte, sia nobili, come i Borghese o i Mattei. Inoltre, mentre l'artista riceveva cariche importanti, quella per esempio di Cavaliere di Malta (titolo che gli venne poi tolto), nello stesso tempo frequentava taverne, prostitute e giochi d’azzardo. 


Caravaggio, Cappella Contarelli, 1599-1600, San Luigi dei Francesi, Roma  

Per dire la modernità di Caravaggio, Strinati accenna ad importanti scrittori e personaggi, suoi contemporanei, tra cui Galileo Galilei (1564-1642), utile ad introdurre la grande rivoluzione della luce compiuta dall'artista nella sua prima opera pubblica.  
Nella Roma di Clemente VIII, eletto nel 1592, erano in corso oltre una trentina di roghi, compreso quello di Giordano Bruno. Eppure, Del Monte, diplomatico consumato nell'esercitare l’arte della discrezione, riusciva ad allestire un suo cenacolo quasi alchemico; il cardinale, fu il primo a possedere il nuovo telescopio dell’amico Galileo di cui prese le difese durante i guai con l’Inquisizione. Lo scienziato era spesso in visita nel suo palazzo, proprio quando vi dimorava Caravaggio il quale, riportano alcune carte giudiziarie, nel 1598 fu arrestato e perquisito per possesso di "compassi", strumenti che Galileo stava mettendo a punto con Guidobaldo Del Monte, matematico e fisico, che assieme al fratello Francesco Maria, aveva ottenuto una cattedra per lo scienziato. Caravaggio entrava a pieno titolo in questa cerchia che privilegiava la conoscenza empirica, alle prescrizioni dottrinali del cardinale Paleotti (Esordio di Ludovico, Annibale e Agostino Carracci).
Caravaggio, inoltre, viveva nella Roma di Federico Cesi (1585-1630), fondatore dell'Accademia dei Lincei (1603); non è un caso dunque che la pittura dell'artista nasca con il sorgere della scienza empirica moderna che incitava alla libera osservazione sperimentale della natura (La nascita dei Lincei).


Caravaggio, La vocazione di San Matteo, Cappella Contarelli, dett., 1599-1600, San Luigi dei Francesi, Roma  

Nel 1599, il cardinale Francesco Maria Del Monte procurò a Caravaggio, il primo impegno pubblico, due grandi tele per la decorazione della Cappella Contarelli, la Vocazione e il Martirio di San Matteo.
Nella Vocazione, l'artista racconta il momento in cui Gesù convinse l'uomo, un ebreo esattore delle tasse per conto dei romani, a lasciare tutto per diventare suo apostolo. Caravaggio immagina l’episodio all’interno di un una taverna romana, dove, a sinistra, cinque uomini vestiti in abiti dell’epoca, sono seduti attorno a un tavolo a contare denaro. A destra, Gesù e Pietro, abbigliati all’antica, indicano l’uomo seduto al centro, Matteo che, stupito, porta una mano al petto come a voler rispondere.

Caravaggio coglie l'attimo cruciale, l’esitazione del dubbio in cui Matteo deve capire

Il gesto di Cristo è una citazione della Creazione di Adamo di Michelangelo nella Sistina. Pietro non è citato dai Vangeli in riferimento a questo episodio, ma l’artista lo inserì nella scena per indicare che la Chiesa, di cui Pietro è il massimo rappresentante, ha un ruolo fondamentale nell’azione salvifica di conversione. 

Un fascio di luce squarcia il buio della stanza e si dirige verso Matteo: la luce è il vero motore dell'azione, senza dubbio una luce divina che però Caravaggio fa intendere arrivi da una finestra aperta fuori dal quadro

L’opera appare subito rivoluzionaria. Caravaggio aveva trasferito l’episodio sacro in una bettola romana che i suoi contemporanei potevano riconoscere. L'artista attualizza l’evento biblico, spingendo il fedele a riflettere sul fatto che Dio, in qualunque momento o luogo, può chiamare a sé un uomo, anche se peccatore.


Caravaggio, Il martirio di San Matteo, Cappella Contarelli, dett., 1599-1600, San Luigi dei Francesi, Roma  

La scena del Martirio di San Matteo è più complessa e presenta quel carattere brutale che la rende più simile a un assassinio. L’esecuzione del Santo è presentata come un delitto di strada ed è ambientata all’interno di una struttura architettonica che ricorda quella di una chiesa, come attesta la presenza di un altare con croce.
Caravaggio decise di attenersi alla Leggenda Aurea secondo la quale, San Matteo, sarebbe stato assassinato dopo la celebrazione eucaristica. 

I personaggi sono disposti nel palcoscenico di un teatro, espediente che l'artista amava adottare per aumentare il pathos della raffigurazione

Al centro della scena il vecchio Santo, sorpreso mentre battezzava alcuni fedeli, è già stato colpito e ferito dal suo carnefice, un giovane robusto e mezzo nudo. Matteo, a terra, alza la mano per difendersi mentre un elegantissimo angelo con ali vere da uccello, si precipita a porgere la palma del martirio. Lo sguardo della vittima e quello del suo assassino che sta sferrando il colpo mortale, si incontrano in un attimo di muto colloquio. Tutto intorno, i testimoni si ritraggono spaventati per il terrore del momento, un ragazzino fugge in preda al panico con la bocca spalancata
Tanta concitazione dei gesti e varietà di espressioni, derivava da certa pittura lombarda dove, i “moti dell’anima”, traevano origini dagli studi fisiognomici leonardeschi, poi innestati, a fine Cinquecento, nell'opera di artisti come Sofonisba Anguissola (1531-1625) e i Carracci (Annibale Carracci: Natura e Ideale). 



Sul fondo a sinistra, l'autoritratto di Caravaggio, con lo sguardo sconfortato, testimone di un profondo pessimismo esistenziale.
Per dipingere queste grandi tele, Caravaggio illuminava solo in parte i suoi modelli, per mezzo di lanterne; da ora in poi, le sue figure usciranno dal buio della scena i cui sfondi, risultano quasi sempre scuri. 

Nel 1602, con un nuovo contratto, Caravaggio è chiamato a dipingere un terzo quadro destinato all’altare della Cappella Contarelli

Il soggetto concordato, San Matteo e l’angelo, doveva mostrare l’evangelista intento a scrivere il proprio Vangelo. Del quadro, un tempo esistevano due versioni: la prima, conservata a Berlino, fu sciaguratamente distrutta durante la seconda guerra mondiale. 
Sebbene Caravaggio rispettasse i tempi di consegna, i religiosi, rifiutarono il primo San Matteo  perché privo di "decoro", nell'immagine impacciata del Santo seduto con le gambe incavalcate, fino ai piedi rozzamente esposti in primo piano.


Caravaggio, San Matteo e l'Angelo, 1602, Cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma

Il dipinto, fu restituito all’artista che lo vendette a Vincenzo Giustiniani e sostituito da un altro: la tela, dipinta in fretta e furia, questa volta venne accettata e posta dove oggi è ancora visibile. L’evangelista, inginocchiato sopra una panchetta in bilico, è rappresentato come un vecchio filosofo vestito da capo a piedi, mentre il messaggero divino, che volteggia sopra di lui, gli ricorda i concetti principali da tenere a mente. 
Strinati chiude il racconto, accennando brevemente ad altre importantissime opere di Caravaggio dipinte nel periodo romano, tra cui la Morte delle Vergine (1604-1606).