Autismo: andare oltre i sintomi per scoprire le potenzialità

Luigi Mazzone, Neuropsichiatra infantile del Policlinico Tor Vergata

In occasione del 2 aprile, Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo, abbiamo intervistato Luigi Mazzone, neuropsichiatra infantile del Policlinico Tor Vergata, per fare il punto sui diversi aspetti che caratterizzano l'autismo.

Questo è un giorno importante per le persone che vivono questa condizione, perché di condizione non di malattia si tratta. La “consapevolezza” riguarda non solo il loro essere, ma anche tutta la società dei cosiddetti neurotipici: l’essere a conoscenza di quelli che sono dei principi di reale inclusione è il vero fine di quello che è il percorso.

Oggi parliamo di quello che è la reciprocità sociale, una consapevolezza bilaterale: da una parte vi sono le persone che vivono la condizione dello spettro autistico, dall'altra ci sono le persone che devono modificare qualcosa di loro stessi, della loro routine, della loro quotidianità, per far sì che poi una società realmente inclusiva sia messa in atto, non solo a parole, ma con i fatti. 

Occorre andare al di là di quelli che sono i sintomi, e concentrarci su quelli che sono le potenzialità della persona: il problema è capire come utilizzare queste risorse e capire da che punto di vista guardare queste risorse. Il punto siamo noi neurotipici: fin quando la visione sarà semplicemente unilaterale, è ovvio che cercheremo di omogeneizzare culturalmente tutta la società attraverso quelli che sono i nostri standard culturali.
Il punto è che ci sono degli standard culturali, cognitivi e neuropsicologici che hanno delle caratteristiche differenti e che dal nostro punto di vista presentano dei deficit, ma dal nostro punto di vista. Magari per gli altri punti di vista possono essere una risorsa. E allora l'integrazione di questi concetti, potrebbe rendere realmente una società inclusiva e potrebbe smettere di far sentire ai margini alcune famiglie o alcune persone.

Ritengo lo sport uno dei più grandi catalizzatori di attività inclusive e di risorse. Io personalmente mi sono battuto per un concetto “Demedicalizzare” che vuol dire uscire fuori dagli ospedali, costruire attività sociali ludiche sportive realmente inclusive. Nel mio piccolissimo ho costituito un’accademia di scherma a Roma dove ci sono circa 30 ragazzi autistici. Lo sport secondo me è il veicolo principe per ottenere una reale inclusione, fatta però ovviamente da personale competente.


La riflessione sul “dopo di noi” e sul futuro è importante perché dal mio punto di vista oggi non è stato fatto tantissimo: l'angoscia di papà e mamme resta intatta e l'età adulta resta un grande punto interrogativo da affrontare. Ritengo che una persona autistica non abbia bisogno di uno psicofarmaco se non in presenza di una problematica psichiatrica accertata. 

C'è bisogno di progetti sociali: è ovvio che nei momenti in cui mancano i progetti sociali e una persona che sta a casa tutti i giorni, che non ha un'aspettativa, non ha una motivazione, spesso sentimenti depressivi o momenti di agitazione possono prendere il sopravvento e a quel punto spesso viene automatico prescrivere uno psicofarmaco. Perché ricordiamoci che la motivazione vale per tutti, vale anche e soprattutto per una persona e per una famiglia che vive una condizione di fragilità. Quando la motivazione manca, l’errore sta a monte, nel non creare dei percorsi inclusivi e motivazionali perché poi al momento in cui si entra in un loop di psicofarmacologia, è veramente difficile uscirne. Allora ci vuole rispetto per la persona, rispetto per la famiglia e il rispetto parte prima di entrare in una stanza di ambulatorio, per cui la consapevolezza, l'azione serve prima serve ora serve a partire da questo 2 aprile che forse è già tardi.