Pietro Greco. Schiaparelli e i canali di Marte

Errori di traduzione tra scienziati

Le parole posso fare male. Soprattutto quando vengono tradotte. 

Pensiamo a quanto è successo a un grande astronomo italiano, Giovanni Schiaparelli, direttore dell’Osservatorio di Brera, che alla fine dell’Ottocento puntò il cannocchiale verso il pianeta Marte e osservò una serie di linee rette che lo intersecavano che sembrano canali. 

Schiapparelli ne dà conto in tre diverse pubblicazioni, in una delle quali, La vita sul pianeta Marte, scrive: "Piuttosto che veri canali della forma a noi più familiare, dobbiamo immaginarci depressioni del suolo non molto profonde, estese in direzione rettilinea per migliaia di chilometri, sopra larghezza di 100, 200 chilometri od anche più. Io ho già fatto notare altra volta, che, mancando sopra Marte le piogge, questi canali probabilmente costituiscono il meccanismo principale, con cui l'acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta".

Schiapparelli non dice nulla sulla natura di quei canali. Ma il suo testo viene tradotto in inglese. E la parola canali diventa canals (canali artificiali) invece che channels. 
Insomma, tutti credono che Schiapparelli affermi di aver visto dei canali artificiali su Marte.

Il più convinto è un altro grande astronomo, Percival Lowell, che inizia una lunga serie di nuove osservazioni con l’intento di dimostrare che i canali di Schiaparelli siano dei vari e propri canals, canali artificiali realizzati da una  civiltà superiore, quella dei Marziani, per spostare l’acqua lungo il pianeta rosso.

Scrive tutto in diversi libri, tra cui uno esplicito nel 1906: Mars and its canals, Marte i suoi canali artificiali. In pochi anni, però, la comunità astronomica dimostra che su Marte non c’è acqua e che le osservazioni di Schiaparelli e Lowell altro non sono che illusioni ottiche. Ma nell’immaginario collettivo resterà a lungo l’idea che i Marziani esistono e sono ingegneri idraulici molto più bravi dei loro colleghi terrestri.