Speciale Dante

Con Piero Dorfles e Franco Cardini

Guelfi o ghibellini? Ossia: papa o imperatore? Potere religioso o potere civile? Questo il dilemma in cui si dibatteva il sistema feudale nel basso medioevo e che riguardava tanto i Comuni che i singoli cittadini. Un dilemma che nella Firenze dantesca, tuttavia, dato il sopravvento dell’influenza papale su quella imperiale, era tutto spostato in casa guelfa nella lotta fra bianchi e neri, e cioè fra sostenitori di un alleanza più libera o più stretta con la chiesa. In quest’ambito si muoveva Dante, che ebbe sempre un rapporto difficile con la curia romana e che papa Bonifacio VIII trasformò infine in un fuorilegge conferendo ai neri il potere assoluto a Firenze.

Piero Dorfles (giornalista e critico letterario) e Franco Cardini (storico) tracciano un quadro dell’epoca illustrando gli ideali religiosi e politici che emergono dalle opere e dalla vita di Dante. La Firenze a cavallo fra il Duecento e il Trecento era uno dei comuni più importanti e moderni d’Italia, una città di 100 mila abitanti in pieno boom demografico, economico e artistico, che vedeva la gestione del potere in mano non più all’aristocrazia ma alla borghesia. Un comune all’avanguardia in ogni settore, dotato di una costituzione che subordinava la possibilità di far parte della vita politica all’appartenenza a una delle gilde, ossia delle associazioni di arti e mestieri. Per questo Dante s’iscrisse alla corporazione dei medici e degli speziali – pur non appartenendo a nessuna delle due categorie – diventando uno dei guelfi bianchi più importanti e infine uno dei cinque priori che governavano la città. Legato a un ideale francescano di chiesa umile e povera e assertore della necessità di una pacifica convivenza e collaborazione fra il potere imperiale e quello spirituale (posizione che metteva in discussione il potere temporale della chiesa), all’apice della sua carriera politica Dante entrò tuttavia in attrito con la politica vaticana. Dopo l’epurazione dei bianchi operata a Firenze su incarico di Bonifacio VIII da Carlo D’Angiò, il poeta fu esiliato con accuse gravissime e condannato al rogo trascorrendo lontano dalla sua città natale l’ultima parentesi della sua esistenza, alla quale va tuttavia ascritta la creazione del suo capolavoro: la Divina Commedia.

La grande riflessione dantesca ci dice che l'intellettuale può essere più importante del politico, anche se spesso ne subisce l'esilio.