La grande emigrazione italiana di fine Ottocento

Le riflessioni di Romain Rainero

Il professor Romain Rainero, ordinario di Storia contemporanea all'Università degli Studi di Milano, intervistato da Giosuè Boetto Cohen, riflette sull'emigrazione degli italiani dalla fine dell`800 agli anni Cinquanta. Partendo dal Risorgimento, quando era prevalentemente di tipo politico, l'emigrazione diventa poi un fenomeno economico, che porta le popolazioni dei luoghi più arretrati ad avvicinarsi ai paesi e alle città più industrializzati. 

Le mete da raggiungere sono prima Napoli, poi Roma e infine il Nord (Torino, Genova, Milano). Non si tratta di una scelta, ma di una costrizione: si lascia la campagna, a piedi, in cerca di condizioni di vita migliori. A volte la delusione di non trovare la prosperità sognata porta a spingersi sempre più lontano. Iniziano quindi i grandi flussi migratori verso la Francia, gli Stati Uniti, l`Argentina. L'America, soprattutto, era il Paese della speranza, perché in quegli anni offriva ingresso a tutti, senza discriminazioni di razza, unico limite era non avere problemi sanitari. 

I primi italiani a raggiungere gli Stati Uniti provenivano dalle regioni del Nord, soprattutto dal Veneto o dal Friuli, mentre l'ondata emigratoria dei meridionali diventa preponderante a partire dal 1916 e dura fino al 1942. Gli emigranti si adattavano a fare qualsiasi mestiere, soprattutto quelli non graditi dalle altre comunità, inizialmente per mandare a casa la maggior parte del guadagno. Successivamente, con la seconda generazione, gli italiani si integrano sempre di più nel tessuto sociale, iniziando a investire in attività sul luogo, spesso dimenticando la propria patria: diventano italo-americani, o italo-francesi, dove il secondo aggettivo assume sempre più rilievo rispetto al primo.