I Carracci e Palazzo Sampieri a Bologna

L'ultima volta insieme

Palazzo Sampieri Talon, sorge su tre piani in Strada Maggiore a Bologna, privo del portico che connota gran parte dei fabbricati cittadini

Il prospetto dell’immobile, in semplice muratura intonacata, è frutto di rimaneggiamenti succeduti nel corso dei secoli a partire dal 1542, quando Camillo Paleotti vendeva l'edificio a Vincenzo Sampieri, membro di un’autorevole famiglia locale.
Uno dei sette figli di Vincenzo ed Elena, l'abate e canonico di San Pietro, Astorre Sampieri, ritornato da Napoli a Bologna, decide di abbellire alcune stanze al pianterreno della dimora di Strada Maggiore. Nel 1593, chiama i tre Carracci, Agostino (1557-1602), Annibale (1560-1609) e Ludovico (1555-1619), all'epoca acclamati e noti in città per le imprese di Palazzo Fava e Magnani (L'esordio di Ludovico, Annibale e Agostino Carracci).

A Palazzo Sampieri, i Carracci lavorano assieme per l’ultima volta, prima di dividere le loro strade

Nel giro di un anno circa, i Carracci concludono il lavoro: Annibale si trasferisce a Roma dove rimane sino alla morte, Agostino lo raggiunge poco dopo per poi spostarsi nuovamente a Parma, dove muore e Ludovico, rimane a Bologna, incontrastato caposcuola dell'ambiente artistico cittadino. 
Nel filmato (Passepartout. Carracci che sorpresa, 2006), Philippe Daverio presenta gli interni del palazzo affrescato dai Carracci. 

Nell'occasione, i tre artisti rinunciano al fregio e cospargono le decorazioni sui soffitti e sui sopracamini, inventando finte cornici in trompe-l'œil, stuccate sul muro e parzialmente dorate a fingere la tela

Le ricche incorniciature, furono eseguite da Gabriele Fiorini (1570-1595), plasticatore di fiducia dei tre e già collaboratore a Palazzo Fava e Magnani.
L'espediente della cornice a stucco, risolveva il problema visivo della scarsa altezza dei vani e delle coperture a volta ribassata delle diverse stanze del palazzo. I Carracci inoltre, per espandere ulteriormente lo spazio del soffitto, realizzarono scene degli arditi scorci prospettici di sottinsù, guardando alle Storie di Ulisse dell'artista manierista Pellegrino Tibaldi (1527–1596), dipinte a Palazzo Poggi circa quarant'anni prima. 


Bologna, Palazzo Poggi, Sala di Polifemo, veduta della volta con episodi dell' Odissea. Affreschi di Pellegrino Tibaldi, 1550-1551

Nessuno dei tre Carracci, sino ad allora, s'era cimentato in tali arditezze prospettiche, ma oltre al precedente di Tibaldi visto in città, i giovani conoscevano bene le scene di scorcio dipinte da Veronese e Tintoretto, ma anche di Giulio Romano, Correggio e prima ancora Mantegna.  

A Palazzo Sampieri è protagonista il mito di Ercole al cui eroe sono dedicate quattro delle sei scene complessive

La scelta dell'eroe nelle decorazioni cinquecentesche di dimore gentilizie non è rara. Esempi come Palazzo Te a Mantova, Villa d'Este a Tivoli o Palazzo Farnese a Caprarola, testimoniano l'affermarsi in epoca rinascimentale di una visione del semidio quale personificazione allegorica della virtù che sconfigge il vizio, a sua volta simboleggiato dalle tante creature mostruose che Ercole sottomette nel corso delle sue fatiche.
Gli affreschi di Palazzo Sampieri, furono ricordati, per la prima volta, da Lucio Faberio nel 1603, in occasione dell’orazione commemorativa di Agostino Carracci, morto a Parma l’anno prima.

Se Faberio assegnava ad Agostino, Ercole ch’aiuta Atlante a sostener il mondo, Malvasia, biografo dei Carracci, scriveva che a casa Sampieri era indistinguibile la mano dei tre artisti 

Oggi, la critica assegna gli affreschi della volta della prima sala e del relativo sopracamino, a Ludovico e quelli della seconda e terza, ad Annibale e Agostino. 
Nel soffitto della prima stanza del Palazzo, Ludovico dipinge Giove accoglie Ercole nell'Olimpo, scena di sottinsù inquadrata in una splendida cornice ottagona, decorata con  putti, conchiglie e cartigli arricciolati, intervallati da medaglie con scenette a chiaroscuro. 
Ercole appare muscoloso ed eroico, un nudo di plasticismo michelangiolesco sullo sfondo di un cielo con le costellazioni astrali della Lira e del Leone, diviso tra nubi tenebrose e luce intensa e dorata. Sul sopracamino, entro un’elegante cornice a rilievo coronata dal cartiglio, "USQUE MANET GLORIA FORMAE", Ludovivo raffigura Cerere alla ricerca di Proserpina. La dea delle messi, con il capo coronato da spighe di grano, avanza a passo di danza cercando la figlia rapita dal signor degli inferi.

Nella volta della seconda sala, con Ercole guidato dalla Virtù, Annibale dipinge una donna che sposta le nubi per facilitare il cammino dell'eroe

Ercole, proteso da uno spunzone di roccia, è pronto a seguire la Virtù lungo la via aperta del cielo.
La scena sul camino, con il Gigante Encelado travolto dai massi lanciati dalla folgore di Giove, è oggi attribuita ad Agostino, sulla base della torsione del braccio della massiccia figura che ritorna, pressoché puntuale, nell’Ercole ed Atlante della sala seguente, opera del maggiore dei due fratelli Carracci. 
Il dipinto del sopracamino della terza sala, sormontato dalla scritta "NULLA FUGAM REPERIT FALLACIA" e raffigurante Ercole punisce Caco, è oggi assegnato ad Annibale.

Oltre agli affreschi, Sampieri commissionò ai Carracci tre grandi tele, da collocare come sovrapporta in ognuna delle stanze

Tratte da episodi evangelici, Ludovico dipinse Cristo e la Cananea, Agostino, Cristo e l’adultera ed Annibale, Cristo e la Samaritana. Vendute ad Eugenio di Beauharnais, le tre opere sono oggi conservate alla Pinacoteca di Brera a Milano.