La libertà di Bernini

Un racconto in serie di Tomaso Montanari

Gian Lorenzo Bernini non ha un posto nella genealogia dell’arte moderna: quella che parte dalla rivoluzione di Caravaggio, e attraverso Velázquez, Goya e Manet, conduce agli Impressionisti, e dunque alle avanguardie. L’artista piú potente, ricco e realizzato dell’Italia secentesca, "il dittatore artistico di Roma", è sempre stato considerato troppo organico alla propaganda dei papi e dei gesuiti per poter aver parte in questa storia di libertà
Tomaso Montanari

Con queste parole, lo storico dell'arte Tomaso Montanari introduce il suo libro su Gian Lorenzo Bernini (La libertà di Bernini. La sovranità dell'artista e le regole del potere, Milano, 2016), la fatica di una ricerca ventennale che ha portato al ritratto inedito di un personaggio complesso, in lotta contro lo spirito del suo tempo nel nome di una sofferta libertà artistica, dunque tutt'altro che "integrato", come si era considerato fino ad oggi, il "padron del mondo" Barocco.  
In questa serie video dedicata all'artista e realizzata qualche anno prima dell'uscita del libro (2015), Montanari dimostra la modernità di Bernini che, a modo suo, ha seguito Caravaggio sulla via del conflitto, arrivando a sacrificare una parte del proprio successo per difendere la sovranità della propria arte. 
Per dimostrare questa tesi, Montanari ribalta le letture correnti delle opere berniniane, partendo da fonti, documenti e biografie "ufficiali" dell'epoca dalle quali, infatti, come dice lo studioso, affiorano cospicue "smagliature". Da qui, in un processo critico profondo e lucido, Montanari indaga proprio tra questi strappi  e ricuce nuove chiavi di lettura dell'artista. L’obiettivo è quello di restituire un Bernini diverso e più complesso, che non smentisca la sua immagine stabilita, ma la veda riempirsi di contenuti articolati, tra loro in tensione e anche in contraddizione. 

Un Bernini diviso fra la tentazione di far sparire ogni segno di conflitto, per consegnarsi ai posteri come un santo taumaturgo dell’arte figurativa, e la contrastante pulsione a far invece emergere precise spie del suo malessere, della sua insoddisfazione, della sua vera e propria ribellione
Tomaso Montanari

Presentare un Bernini “tutto intero”, riconferma ancora una volta l'approccio dello studioso consapevole della necessità di una storia dell’arte “integrale”, cioè di una disciplina che utilizzi tutti gli strumenti messi a punto fino ad oggi. Una storia dell'arte che sappia connettere l’analisi stilistica a quella iconografica, alla storia sociale dell’arte, alla storia della critica d’arte e così via.
La libertà di Bernini, è la prima serie che vede la collaborazione dello storico dell'arte con il regista e produttore Luca Criscenti, un autore esperto di documentari culturali molto accattivanti 
Dato il successo e la piena riuscita della serie, l'anno dopo Criscenti e Montanari realizzeranno assieme Caravaggio (La vera natura di Caravaggio, 2016), a cui seguirà, Vermeer (I Silenzi Di Vermeer, 2019), e Velázquez (Velázquez. L’ombra Della Vita, 2019), tutti messi in onda da Rai 5. 
Caratteristica principale di questi documentari, è la chiarezza e la semplicità espositiva con cui riescono a coinvolgere il proprio pubblico. All'assoluta assenza di orpelli superflui, concorrono la giusta fotografia, le musiche di sottofondo che accompagnano senza sottolineare nulla e infine, la scelta di suddividere la serie in periodi storici e in senso cronologico.

Montanari, unico e indiscusso protagonista, adotta quello che diventerà il suo stile: sguardo diretto in camera, parlato chiaro e incisivo. Punto di forza di tutte le serie, lo studioso nei luoghi in cui gli artisti hanno vissuto e lavorato, per parlare di fronte alle opere e stabilire così, una sintonia diretta tra l’ascoltatore, l'oggetto e l’artista

Una contestualizzazione molto efficace che trova precedenti nella grande stagione dalla cinematografia documentaria britannica, del secondo dopoguerra, di marchio BBC. 
Infine, come per il suo libro, Montanari apre il mondo della conoscenza non solo agli specialisti, ma anche al vasto pubblico, perché, come scrive lo studioso:

La storia dell’arte è troppo importante per lasciarla tutta agli storici dell’arte
Tomaso Montanari


Prima puntata
Gli inizi (1598-1618) 

Bernini, al contrario di Caravaggio, non si lasciò fermare, cambiò il volto di Roma, cambiò il volto dell'arte del suo tempo. Ed è la storia di questa conquista di libertà, la storia della libertà di Bernini che vogliamo raccontare
Tomaso Montanari  

Di fronte all'Apollo e Dafne (1622-'25), gruppo scultoreo di un Bernini in piena affermazione nella Roma degli anni Venti, Montanari introduce gli inizi difficoltosi dell'artista. Infatti, per questo capolavoro indiscusso e di grande successo, fin dai giorni della sua realizzazione cardinali e clero cercarono di fermare l'artista, perché troppo sensuale, realistico e soprattutto, mancante di quel "decoro" che, circa vent'anni prima, veniva rimproverato a Caravaggio nelle prime pale d'altare.
Gian Lorenzo Bernini, era nato a Napoli il 7 dicembre del 1598, morirà alla veneranda età di ottantuno anni, nel 1680, senza mai smettere di creare.
Il futuro re del barocco, era figlio dello scultore Pietro Bernini (1562–1629), artista manierista fiorentino che, nel 1584, cercava lavoro nella città partenopea capoluogo di grande fermento culturale. Inizialmente, anche Pietro, come poi il figlio, realizzò diverse fontane, ma solo con l'incarico del Viceré, dava prova del suo talento in alcune statue per la Certosa di San Martino, santuario del futuro Barocco napoletano. Qui, Montanari immagina che il piccolo Gian Lorenzo guardava il padre al lavoro nel "San Martino che divide il mantello con il poverello", un altorilievo destinato a sovrastare la porta del Monastero. Curioso anche il gruppo scultoreo della "Madonna col Bambino e san Giovannino", dove la Vergine si avvita in una torsione poco naturale e molto virtuosistica, evocante quella di Caravaggio nella tela dei Palafrenieri. 

È la tradizione della scultura fiorentina, la più alta tradizione della scultura italiana e del suo rapporto con lo spazio a scorrere, fin dalla nascita, nelle vene di Gian Lorenzo Bernini
Tomaso Montanari

In Piazza della Signoria a Firenze, Montanari evoca questa grande memoria riassunta nel luogo che ancor oggi accoglie opere di Donatello (Marzocco e Giuditta e Oloferne), Michelangelo (Davide), Giambologna (Ratto delle Sabine) e Benvenuto Cellini (Perseo). Il piccolo Bernini, percepiva già l'essere erede naturale di tutto questo, tanto che nella vita dirà sempre di essere fiorentino. 
Nel 1606, Pietro Bernini e famiglia si spostano a Roma, centro fervente di cantieri papali che Paolo V (1552-1621), pontefice illuminato, proseguiva nel disegno urbanistico di  Sisto V. Pietro partecipa ad opere di grande respiro, a cominciare dalle Cariatidi e dal bassorilievo dell'Assunta, nella cappella Paolina in Santa Maria Maggiore.
Il giovane Gian Lorenzo, vive Roma come una palestra ricca di spunti e grandi novità. Tra i colleghi del padre infatti, il pittore fiorentino Ludovico Cigoli (1559–1613), amico di Galileo Galilei, dal quale apprende e ripropone nei suoi dipinti, la nuova forma della luna come lo scienziato l'aveva descritta al cannocchiale. All'epoca, era in corso un'ennesima querelle tutta fiorentina, sul primato tra scultura e pittura e Galileo, interpellato da Cigoli, rispose con una lettera a favore della pittura.
La cosa interessante, fa notare Montanari, che Galileo poneva il problema in termini di percezione dell'opera da parte dello spettatore. Infatti, lo scienziato concludeva auspicando la nascita di una scultura in grado di superare la durezza e la freddezza statica del marmo, come l'arte pittorica, dotata di grande libertà, riusciva nel creare illusioni. E forse fu così che il precoce Bernini capiva fin da giovane che, se voleva gareggiare con la pittura, doveva conoscere i pittori. 

Potremmo dire che tutta la vita di Bernini è un lunghissimo e riuscitissimo tentativo di rispondere a Galileo, non con un'altra lettera, ma con una serie strepitosa di marmi, uno più grande dell'altro, uno più pittorico dell'altro, uno più illusionistico dell'altro
Tomaso Montanari

Le biografie di Bernini, raccontano di un giovane che a dieci anni scolpiva piccole statue così belle da attirare l'attenzione di Annibale Carracci. Probabilmente, una di queste potrebbe essere la scena pastorale di "Giove bambino e un fauno nutriti dalla capra Amaltea" (1615), un piccolo gruppo scultoreo che antiche fonti dicono a casa di Scipione Borghese, collezionista e amante delle arti. 
A soli undici anni, Gian Lorenzo sperimenta nel marmo l'illusionismo pittorico, attraverso diversi trattamenti di questo, al fine di restituire la sensazione tattile del pelo della capra, della pelle morbida dei bambini, fino alla diversa luminosità e resa quasi cromatica del bianchissimo latte bevuto dal satiro. 
Chi siano i pittori studiati da Bernini nella Roma di quegli anni è facile da immaginare: illusionismo scultoreo delle figure e realismo di rappresentazione, derivano da Annibale Carracci, visto a Palazzo Farnese e nella cappella di Carlo Maderno a Santa Maria del Popolo dove, l'Assunzione della Vergine del bolognese, sta nel mezzo delle due grandi tele di Caravaggio
Un altro luogo di sicuro frequentato dal giovane, fu la Chiesa del Santo fiorentino, San Filippo Neri, detta anche Santa Maria in Vallicella per un antico affresco trecentesco qui conservato nell'altare maggiore e visibile per mezzo di un meccanismo di pulegge e corde. Infatti, tra il 1606 ed il 1608, Pieter Paul Rubens, interviene nell'altare della chiesa con una pala dipinta a olio su ardesia, posta davanti all'antico affresco miracoloso. Angeli e cherubini adoranti, sono disposti in cerchi concentrici intorno alla nicchia che ospita l'icona sacra sottostante, protetta da una lastra di rame sulla quale Rubens dipinge la Madonna con bambino benedicente
Il tutto, è completato da altre due pale ai lati dell'altare che formano una sorta di trittico "espanso", con i Santi di cui la chiesa possiede le reliquie (Gregorio Magno, Papia e Mauro, sulla parete sinistra e Flavia Domitilla, Nereo e Achilleo, sulla parete destra). La soluzione di creare un dialogo visivo fra le tele, un teatro di sguardi nello spazio reale dello spettatore, forse fu suggerita a Rubens dall'analoga scelta messa in atto pochi anni prima da Annibale Carracci (Cappella Salviati, San Gregorio al Celio), e mirabilmente riproposta da Bernini nella Cappella Cornaro (1645-'52). 
Nella stessa chiesa, Bernini vede anche  la Deposizione di Cristo del Caravaggio (oggi ai Musei Vaticani) dove, il taglio angolare della pietra sepolcrale che sfonda visivamente la tela, invita lo spettatore ad entrare nell'opera accompagnato   dallo sguardo di Nicodemo. 
Data 1617, il San Lorenzo della Collezione Contini Bonacossi dove emergono anticipazioni dello stile maturo nel realismo caravaggesco della composizione e in particolare, nella resa del fuoco. Per il Santo invece, il modello rimanda alla figura di Adamo nella Creazione dell’uomo, ripreso dalla volta Sistina di Michelangelo.

Il giovane Bernini tiene assieme i classici, Michelangelo, con i contemporanei, Caravaggio, Carracci e Rubens

La carriera di Gian Lorenzo ritrattista, inizia con un busto di Antonio Coppola (1612), chirurgo fiorentino, benefattore dell’Ospedale annesso alla Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. Il busto, commissionato subito dopo la sua morte e pagato al padre Pietro, si ritiene da gran parte degli studiosi, opera autografa di Gian Lorenzo. Infatti, il naturalismo macabro del volto, la cicatrice sulla testa, la mano ossuta che trattiene stancamente il mantello, la spilla che lo chiude quasi luccicante d'oro, il disegno damascato del tessuto e tanto altro, rimandano al giovane, attento si alla realtà, ma anche alla dimensione psicologica dell'insieme.
Con questo busto, Gian Lorenzo si specializzò nella bottega romana del padre in monumenti funebri, dove l'effige aveva grande importanza. La prima committenza di rilievo, fu un Monumento al Vescovo Giovanni Battista Santoni, per la chiesa di Santa Prassede, un ritratto in "carne ed ossa". Montanari racconta che Paolo V, vista l'opera, volle vedere con i suoi occhi il giovane mentre disegnava. Esterrefatto dalla genialità di Bernini, lo affidava alla cura e alla crescita, anche culturale, del nipote Scipione Borghese, amatore ed esperto d'arte, nonché grande mecenate dell'artista. 
In occasione dell'incontro, Paolo V chiese a Bernini un piccolo ritratto (1618), ne scaturì il busto di Paolo V di un realismo caravaggesco, con tutti i valori tattili di stoffe, capelli, barba e guance, rimase sullo  scrittoio del pontefice fino alla sua fine.

Seconda puntata
L'esplosione (1618-1625)
Gian Lorenzo emerge sulla scena artistica romana con gruppi scultorei e ritratti che, negli anni, superano l’eloquio manierato del padre, verso un’arte di turbamenti squisitamente barocchi
Nell’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, si conservano due busti straordinari, l’Anima dannata e dell’Anima beata (1619), "ritratti di emozioni". 
Con spregiudicatezza, Scipione Borghese mise Bernini neanche ventenne, di fronte al suo primo marmo di dimensioni monumentali, dal quale scaturì Enea, Anchise ed Ascanio (1618-'19, Galleria Borghese), gruppo scultoreo per la villa fuori Porta Pinciana del “cardinal nepote. È questa, l'opera più antica delle quattro che Scipione commissionò al giovane; seguirono, il Ratto di Proserpina (1621-'22), il David (1623-'24) e Apollo e Dafne (1622-'25), capolavori della prima maturità dell'artista.
Nel David, Bernini rappresenta l'azione al suo culmine, mentre si concentra sul bersaglio di Golia, stringendo gli occhi e mordendo il labbro inferiore. La statua, è concepita con un preciso punto di vista, come nella tradizione della grande scultura di Michelangelo. Ma non è tutto:

Raffigurando David secondo la soggettiva di Golia, come si direbbe in linguaggio cinematografico, Bernini non stimola la devozione e la spiritualità dell'osservatore: cerca piuttosto di far scattare sensazioni più basse e incontrollabili, come la paura e la sorpresa
Tomaso Montanari

Il viaggio sulle orme del giovane Bernini, porta Montanari a Londra, nelle sale del Victoria and Albert Museum che conserva Nettuno e Tritone (1622-'23), gruppo scultoreo commissionato del cardinale Alessandro Peretti Montalto, per la fontana da giardino della sua villa che oggi non c'è più.  Nel 1786, l'opera fu acquistata dal mercante d’arte inglese, residente a Roma, Thomas Jenkins, insieme ad altre statue; questi, la vendette a sua volta al pittore Joshua Reynolds per circa 700 ghinee. Alla morte di Reynolds, nel 1792, il gruppo fu comprato da Lord Yarborough, nella cui famiglia rimase fino al 1950, quando fu acquistato  dal museo. 

Terza puntata
Il padron del mondo (1623-1644)
Le api cominciano a sciamare sul cielo di Roma nel 1623, quando il toscano Maffeo Barberini diventa papa col nome di Urbano VIII (1623-1644).
Le api sono il simbolo dei Barberini e Urbano VIII, il papa che aprirà a Bernini le porte della città, facendolo lavorare da prima, in una chiesa di periferia, Santa Bibiana. Ancora impegnato in Apollo e Dafne, Bernini mette mano al suo primo incarico architettonico pubblico, insieme a una statua da porre come pala al centro della nicchia che sovrasta l'altare maggiore. Santa Bibiana (1624-'26), avvolta da panneggi profondi che riflettono la luce,  come le sante di Rubens, alza lo sguardo estatico al cielo guardando la volta del presbiterio affrescata dal giovane Pietro Berrettini, detto Pietro da Cortona (1596-1669), altro artista toscano protetto dai Barberini. Bernini e Cortona, qui assieme per la prima volta, trasformano lo spazio in un palcoscenico teatrale, in un intreccio avvincente per lo spettatore. 
Nel 1627, la potente famiglia papale commissionò Palazzo Barberini all'architetto ticinese Carlo Maderno (1556-1629). Alla morte di questi, subentrò alla direzione dei lavori Bernini, che qui collaborava con il nipote del Maderno, il giovane Francesco Borromini (1599-1667). Il primo progetto del ticinese, prevedeva una costruzione quadrangolare, secondo lo schema tradizionale del palazzo rinascimentale; solo in seguito, fu elaborata l'attuale pianta con le due ali aperte nel parco, che trasformavano l'edificio nella doppia funzione di rappresentanza e villa suburbana. Ancor oggi, è argomento di dibattito quanta parte del primitivo progetto del Maderno, sia stato poi utilizzato da Bernini. La stretta collaborazione tra Bernini e Borromini, inoltre, rende complesse e controversa l'attribuzione di molte parti dell'edificio. 
Tra il 1632 ed il 1639, al piano nobile, fulcro di rappresentanza del palazzo, venne affrescata da Cortona la grande volta dove,  il Trionfo della Divina Provvidenza, glorifica il potere temporale e spirituale di Urbano VIII. Il carattere illusionistico dell'opera, che potenzia la monumentalità dello spazio, apre l'epoca della grande decorazione barocca. 
Infine, Montanari entra nella Basilica di San Pietro, dove, per almeno mezzo secolo, tutti i pontefici dopo Urbano VIII, s'impegnarono a completare quell'immagine barocca ancora folgorante della basilica odierna. Urbano VIII, mise tutto nelle mani di un Bernini venticinquenne per risolvere l'annoso problema della copertura della Tomba di Pietro, posta sotto il livello pavimentale, al centro del transetto sovrastato dalla smisurata cupola di Michelangelo. Bernini concepisce un Baldacchino (1624-'35) come non s'era mai visto prima, una macchina spiazzante, alta quasi ventinove metri, che dovrebbe apparire stabile e invece con le sue colonne tortili sembra mobile. 

La colossale "scultura architettura" tutta realizzata in bronzo, comportò la più grande impresa fusoria dell'antichità e la necessità di procacciare enormi quantitativi di metallo
Tomaso Montanari

L'immagine del potere di Urbano VIII, oramai indissolubilmente legata alla nuova Basilica, venne ribadita con la Tomba monumentale che Bernini realizzò tra il 1627 e il 1647. Ripreso il modello compositivo michelangiolesco della Sacrestia nuova di Firenze, Gian Lorenzo scolpì un Monumento funebre in chiave policroma, mischiando il candore del marmo di Carrara delle due Allegorie (Carità e Giustizia), a quello nero striato d'oro del sarcofago in portoro, fino al bronzo dorato della statua del  pontefice. 

Quarta puntata
Il colore del marmo (1623–1640)

Perché Bernini inizia a dipingere? Anche il padre Pietro lo faceva, ma fu sicuramente per volontà di Maffeo Barberini, quell'Urbano VIII che ebbe il coraggio di commissionare all'artista la loggia delle benedizioni in San Pietro, mosso dal desiderio di avere un "nuovo Michelangelo" del Seicento tutto per sé

Tuttavia, Bernini rimase sempre un grande scultore e un saltuario architetto, la pittura rappresentò per lui un momento privato per studiare e sperimentare, come in un diario intimo, la sua libertà di artista.  
Oggi rimangono circa quindici tele certe di Bernini, delle quasi duecento realizzate e riportate da fonti antiche. Probabilmente, una delle prime è il suo Autoritratto giovanile (1623, Galleria Borghese), dipinto all’età di circa venticinque anni, dove Bernini, in stile un po' caravaggesco, coglie l'attimo dello "sguardo in macchina". Il ritratto, privo di qualsiasi intenzione celebrativa, come i suoi colleghi pittori erano soliti fare di fronte allo specchio, mostra l'artista che, nella storia pittura italiana del Seicento, ha dimostrato una costante tensione a riprodurre il proprio volto.

Solo Rembrandt ha realizzato più autoritratti in assoluto. Ma il primato di Bernini può essere spiegato solo per ipotesi. Esercizio pittorico? Pratica o attività didattica? Interesse per la psicologia dei volti?

Di molti suoi ritratti non conosciamo l'effigiato, sono “ritratti di nessuno”, come quello di un bambino dipinto su carta e poi riportato su tavola, a dimostrare che Bernini non era solo il ritrattista su commissione di potenti, ma anche un artista libero, interessato al carattere profondo di certi soggetti, privi di attributi e "decori". Spesso denudati in modo spiazzante per i suoi contemporanei, certi olii, disegni a matita e carboncino, parlano della presenza esistenziale di individui e persone, non di ruoli sociali.
Questi piccoli quadri fatti per godimento privato, non dovevano rispondere a nessun committente, cosa molto insolita all'epoca, ma Bernini sapeva bene di poter proporre solo determinate cose, dimostrando una forte conoscenza del pubblico e del mercato. 
Bernini non ha mai cercato di imporre la sua pittura, i quadri li teneva a casa sua, o li regalava ad amici, e questo accadde anche per un busto in marmo, quello di Costanza Bonarelli (1636-'38, Museo Nazionale del Bargello), moglie del fido collaboratore Matteo Bonarelli. 
Costanza fu amante di Bernini, una vicenda amorosa dall'epilogo tragico, qui raccontata da Montanari, che mette in luce come sia questo l'unico ritratto scultoreo dove l'artista esprime la stessa libertà dei dipinti. Non è un busto di potenti, nessun committente, solo gli occhi dell'amore di Bernini che riprende Costanza con la camicia aperta sul seno, la bocca carnosa dischiusa e i capelli in disordine, in un'immagine di viva sensualità.
Bisogna attendere il Settecento francese per avere sculture con questi contenuti, ma tuttavia, prive di questa qualità espressiva. Costanza Bonarelli, è l'unico ritratto in marmo che Bernini ha fatto per sé, lavorandoci solo alcune settimane. 

Quinta puntata 
Bernini mago (1644–1655)
Nonostante la carriera lunga ed eccezionale, anche il “Cavalier Bernino” incappò in progetti naufragati, ma nella strada accidentata, seppe muoversi con animo audace.
Nel 1629, Urbano VIII nominava Bernini nuovo architetto della Fabbrica di San Pietro, succedendo a Carlo Maderno (1556-1629), nominato da Paolo V, per erigere due torri campanarie ai lati della basilica, per inquadrare ed esaltare la cupola di Michelangelo. A causa del terreno instabile che minava le fondazioni, l’operazione più problematica del previsto, durò dal 1612 al 1638, quando Urbano VIII chiese a Bernini di risolvere il problema. 
Forte della perizia dei capomastri, Bernini progettò due campanili alti trenta metri, ma già nel 1642, la torre sud mostrava crepe nella facciata, minacciando di rovinare al suolo.
Urbano VIII, lanciato nella guerra di Castro e momentaneamente disinteressò al destino delle torri, morì nel 1644 e il successore, Innocenzo X Pamphili (1644-1655), con una nuova perizia, forse fatta da Borromini stesso, decise l'abbattimento nel 1646.
Bernini subiva una disfatta che sembrò inizialmente congelare la sua carriera, ma non fu così e come una fenice, dopo aver scolpito per sé stesso nel marmo, la figura sensuale e seducente, della Verità (1646-1652, Galleria Borghese), l'artista risorse e torno in auge.

Bernini mago, fa irrompere la natura selvaggia nella città di Roma
Tomaso Montanari

La battuta d’arresto, vide Bernini non riconfermato negli incarichi precedenti e "sorpassato" nelle nuove imprese da Francesco Borromini (1599-1667), il nuovo architetto di Innocenzo X.
Tuttavia, con la Fontana dei Quattro fiumi, malgrado il pontefice avesse vagliato tutte le proposte dei concorrenti, incluso Borromini, nel 1648 commissionò a Bernini l'opera, riconoscendo la superiorità del suo modello. 
La fontana più grandiosa e spettacolare di Roma, destinata a  Piazza Navona, dove sorgeva il palazzo della famiglia Pamphilj, rappresenta l'innovazione stilistica e scenografica del Bernini più emblematica, tra le altre fontane da lui progettate che punteggiano le piazze romane. 
Montanari racconta un Bernini "mago" che plasma gli elementi del marmo e dona forme e i colori della natura, trasformando le piazze, le chiese e i palazzi, in palcoscenici della vita e dell'arte. Papa Pamphili, sembra essergli ostile, ma non sarà così, perché proprio Innocenzo X riconfermerà all'artista il compito di trasformare il volto di Roma. 
Nel 1653, il papa commissionò a Bernini la realizzazione una residenza per la famiglia Ludovisi, l'attuale Palazzo Montecitorio, oggi sede la Camera dei deputati e del Parlamento italiano. Eretto nel colle del Quirinale, in zona Campo Marzio, Bernini concepiva una facciata convessa che seguiva l'andamento curvo della strada, assecondando così il paesaggio, sia nella struttura, sia nelle decorazioni. Queste, fatte di elementi in pietra appena sbozzata, fuoriescono dalle pareti con foglie e rametti spezzati, come a simulare un edificio costruito nella viva roccia.

Teresa d'Avila geme di piacere e muore per sempre, eternamente trafitta dalla freccia infuocata dell'amor di Dio
Tomaso Montanari

Montanari chiude la puntata su "Bernini mago", raccontando l'Estasi di Santa Teresa, commissionata, nel 1645, dal cardinale Federico Cornaro che affidò all'artista la realizzazione della cappella di famiglia, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria.
La Cappella fu concepita come un palcoscenico gremito di attori, pietrificati all'apice dell'azione drammatica. Nel tripudio di marmi e bronzi dorati, sono visibili gli aggiustamenti che Bernini, come un regista della scena, apportò fino all'ultimo per non svelare i suoi trucchi. Il grande capitello della parasta di sinistra, tra le cui foglie si contorce un minuscolo alberello, l'aggiustamento della mano destra di Teresa, con tre dita spettacolarmente cesellate ed eseguite a parte in un secondo momento, quando il gruppo fu innalzato alla quota stabilita, per trovare il punto da cui potevano entrare nel campo visivo dello spettatore, fino ai cardinali Cornaro, affacciati su un balcone a destra e scolpiti in un'unica e lunghissima lastra di marmo.

Sesta puntata
Bernini e la città (1655-1669)

All'inizio del pontificato di Alessandro VII Chigi, siamo nel 1655, Gian Lorenzo cambia scala, la sua scala non è più quella delle chiese, delle cappelle e dei palazzi, per quanto importanti. 
Egli ora può giocare con un'intera città!
Tomaso Montanari

La sovrana Cristina di Svezia, convertita al cattolicesimo, scelse Roma come nuova patria e nel 1655, fu accolta dal nuovo papa Alessandro VII Chigi (1655-1667), con grandi onori e fasti, cerimonie ideate e realizzate con la regia di Bernini. Nell'occasione, l'artista rimodellò la Porta del Popolo sulla quale, ancor oggi, una scritta inneggia al "felice e fausto ingresso" della regina. Poi, su richiesta del papa, con l'architetto Carlo Rainaldi (1611-1691), Bernini donerà alla piazza l'aspetto attuale lavorando alla facciata del così detto "tridente, ossia, le tre lunghe vie che da essa si diramano (del Babuino, del Corso, di Ripetta). La soluzione scelta fu la più monumentale e dispendiosa, la costruzione di due chiese gemelle a pianta centrale, sormontate da due cupole che trasformano il fronte della piazza in una scenografia teatrale. Infine, Bernini metteva mano alla Cappella Chigi di Santa Maria del Popolo, confrontandosi con il progetto di Raffaello.

Bernini reinventa Roma, interagisce con gli spazi, mischia le carte e confonde verità e finzione

Da un elefantino, simbolo di saggezza, portato in dono al papa da Cristina di Svezia, ne ricava un monumento per la sistemazione di Piazza della Minerva, dove appare l'animale con un obelisco egiziano sulla groppa (1667), che sfida le leggi della statica, come già avvenuto nella fontana di piazza Navona. 
Nella chiesa di Sant'Andrea al Quirinale (1658-'70), piccolo gioiello di architettura barocca commissionata da Alessandro VII e dal cardinale Camillo Pamphili, nipote di Innocenzo X, sceglie la pianta centralizzata di un ovale e sulla facciata del sagrato, apre due ali concave che ampliano visivamente lo spazio, su modello del colonnato di San Pietro.
Negli stessi anni, infatti, Bernini presentava ad Alessandro VII il progetto per la sistemazione della piazza antistante la basilica. La difficoltà di trovare una soluzione per San Pietro, era dovuta alle tante esigenze di rito, benedizioni, processioni solenni, ma soprattutto, al significato simbolico del luogo.
Bernini decise con il pontefice la chiara e  geometrica struttura di un grande spazio ellittico, con l’asse maggiore parallelo alla facciata della chiesa, collegato ad essa da una piazza trapezoidale più piccola, con i lati convergenti sulla facciata. Queste due grandi aree formalmente distinte, permettevano in primis di scorgere la cupola di Michelangelo dalla piazza che, l'intervento di Maderno aveva visivamente "disperso" nella facciata troppo larga e bassa. Bernini risolve anche il problema dell’abbassamento del livello del suolo antistante, rispetto alla chiesa, con un’ampia serie di gradini.
Tra il 1655 e il 1667, le due piazze vennero delimitate da un porticato con una quadruplice schiera di 284 colonne e 88 pilastri di dimensioni enormi; al di sopra dell’architrave, pose una balaustra con 96 statue. Per disporre le colonne, Bernini adottò un accorgimento ingegnoso: calcolò l'allineamento dei grossi fusti sui raggi dell'ellisse e indicò il centro con una piastrella rotonda posta sul pavimento della piazza.
L’insieme restituisce una visione spettacolare e dinamica, ricca di effetti prospettici e chiaroscurali, esaltati dalle molteplici colonne che delimitato la piazza. Da un punto di vista percettivo, l'ellisse in espansione avvicina la chiesa; la piazza trapezoidale inoltre, incornicia la facciata facendola apparire più stretta e alta, grazie ai muri laterali che decrescono in altezza verso la chiesa.

La trasparenza del grandioso colonnato, filtro fisico tra interno ed esterno di grande effetto scenografico, diviene simbolo della chiesa cattolica che abbraccia l'intera umanità 

Piazza San Pietro, emblema del barocco italiano, è anche una delle architetture più classiche realizzate dopo il Rinascimento. Estremamente originale è l'interpretazione che Bernini offre di questa classicità, non con colonne sull'arco come nel Colosseo, ma su trabeazione, un'immagine decisamente scultorea di rotondità e pienezza spaziale. La colonna, inoltre, con la sua forma cilindrica e la stessa disposizione radiale calcolata per tutto il colonnato, rinvia all'idea di infinito, suggerito anche dalle dimensioni amplificate dalla stessa ellisse della piazza.
Alessandro VII affidava a Bernini anche la Cattedra di San Pietro (1666), che andava a colmare la parte terminale dell’abside della basilica. In basso, Bernini colloca quattro sculture in bronzo dei padri fondatori che sorreggono la cattedra di San Pietro, alte più di cinque metri. Il trono, in bronzo, alto più di sette metri, contiene la preziosissima reliquia che oggi sappiamo di epoca Carolingia. Sopra il trono, un trionfo di nubi dorate e putti fra raggi luminosi, uno splendore di leggerezza esaltato al centro della Gloria con un disco di alabastro che filtra la luce dall’esterno.

Settima puntata
Bernini fuori Roma (1651-1669)
Anche quando esce da Roma Bernini continua a giocare con le commesse di pontefici e sovrani. Papa Alessandro VII lo spedisce ai Castelli Romani, ad Ariccia, per far ristrutturare Palazzo Ducale (1664-1672) e far erigere una chiesa, la collegiata di Santa Maria Assunta in Cielo (1663-'65). Lo stesso papa, lo porta nella sua città natale, Siena, dove l'estro di Bernini irrompe nella cappella barocca dei Chigi, innestata tra le forme gotiche del duomo. 
Francesco I d'Este, lo chiama a Modena per farsi fare un busto (1650-'51), dodici anni dopo il ritratto a olio di Velàzquez (1638-'39), che immortalava il giovane monarca vicino alla maturità. Il busto di Bernini, si presenta come un tipico esempio di "ritratto di potere", atto a catturare la magnificenza eterna del sovrano. Non a caso, questi aveva reso le corti di Modena e Sassuolo, tramite un programma di intenso mecenatismo, due corti fastose, lussuose e sofisticate, pari a quelle delle maggiori capitali d'Europa. 
Il Cardinale Richelieu, primo ministro di Luigi XIII, aveva chiesto a Bernini, da Parigi, un ritratto a figura intera. All'epoca, Bernini era impiegato da Urbano VIII, pertanto, per non far perdere tempo all'artista, il papa lo "presta" per un busto (1641). Curiosa anche la vicenda del ritratto di Carlo I da Londra. Bernini, che non voleva spostarsi da Roma, chiese che gli fosse inviato un ritratto del sovrano e Antoon van Dyck (1599-1641) eseguì per l'occasione Ritratto di Carlo I in tre posizioni (1635, Castello di Windsor), così che l'artista italiano potesse lavorare al busto in marmo. Purtroppo l'opera verrà distrutta nell'incendio che colpì il Palazzo di Whitehall nel 1698.
Nel 1665, dopo stremanti trattative con papa Alessandro VII, il monarca più potente d'Europa, Luigi XIV detto Re Sole, fanno arrivare Bernini a Parigi, nell'unico viaggio dell'artista all'estero,  per ridisegnare il Palazzo del Louvre. Purtroppo sarà una sconfitta, le incomprensioni e le idee sono molto divergenti e  Bernini riparte dopo cinque mesi. La sua firma tuttavia, rimane  nel cuore di Parigi, a Versailles, dove è conservato il busto di Luigi XIV (1665), essenza dell'assolutismo del monarca.  

Ottava puntata
Bernini visionario (1667-1680)

Proprio come Michelangelo, passati i settant'anni Bernini continua a lavorare senza posa. Sono tutte visioni, a partire  dal progetto della colossale Statua equestre di Luigi XIV, che Re Sole rinnega disgustato

Di questa, eclissata fin da subito dallo sguardo del Re dentro una serra di Versailles, rimane visibile il bozzetto conservato alla Galleria Borghese e una copia fusa in bronzo, solo nel Novecento, posta nel piazzale del Louvre.
Opera della maturità di Bernini, la Tomba di Alessandro VII, monumento funebre fastoso, tra i più spettacolari del Barocco romano, sia per la composizione articolata su più livelli, sia per l'armonioso accostamento di marmi policromi utilizzati per le diverse parti. Realizzata dal 1672 al 1678, con la collaborazione di allievi, il monumento situato in un luogo appartato della basilica di San Pietro, oltre il transetto sinistro, si erge sopra una porta lignea preesistente che conduce dentro lo Stato Vaticano.

Il sepolcro è molto diverso da quello di Urbano VIII, dove il papa imperava sul proprio trono. Qui il pontefice appare umilmente inginocchiato in preghiera, sopra un basamento che emerge da un ampio ed elegante drappo in marmo rosso, sul quale poggiano quattro statue femminili

Sono le virtù praticate da Alessandro VII (Carità, Verità, Giustizia e Prudenza), tutte realizzate in marmo bianco, in netto contrasto cromatico con il rosso del diaspro siciliano del panneggio e con il verde e il nero dei lapidi utilizzati per le parti architettoniche del monumento. Al centro, Bernini utilizza quella porta esterna inglobandola nel monumento, attraverso il drappo marmoreo che in parte la copre; diventa così la porta dell'aldilà, sopra la quale il drappo cela in parte uno scheletro nero che impugna una clessidra in bronzo dorato. Lo scorrere lento e continuo della vita, tema caro all'iconografia barocca, richiama la "vanitas vanitatum".
Il disegno della nuova Roma di Alessandro VII, continua con la salita al soglio pontificio di Giulio Rospigliosi, papa Clemente IX (1667-1669). Nei due brevi anni di pontificato, Bernini fa planare sul ponte Elio, di fronte alla Mole Adriana, poi Castel Sant'Angelo, dieci enormi angeli (1667-'70) che accompagnano quello sovrastante il castello. L’Angelo con il cartiglio e l’Angelo con la corona di spine, scolpiti direttamente da Bernini, colpirono talmente la sensibilità di Clemente IX che non volle esporre le statue alle intemperie e dopo varie vicende, nel 1729, il nipote di Bernini, Prospero, decise di farne dono alla propria parrocchia, la chiesa di Sant'Andrea delle Fratte. 
Nel 1670, sale al soglio pontificio Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni, con il nome di Clemente X (1670-1698); l'anno dopo, il papa beatificava Ludovica Albertoni, una mistica e terziaria francescana della casata, vissuta a Roma. Per l'occasione, il  nipote del papa decise di dedicarle un altare nella cappella gentilizia della chiesa di Trastevere, San Francesco a Ripa Grande, su commissione di Bernini. 
Dato lo spazio molto ridotto della cappella, Bernini riesce a creare un effetto scenografico simile a quello dell'Estasi di santa Teresa, inserendo la  Beata Ludovica su un letto finemente ricamato nel marmo, con il volto rovesciato all'indietro mentre le mani al petto, indicano l'abbandono estatico a Dio. Bernini affronta in forme più semplici e sobrie il tema dell'estasi, ma in questo caso, esprime l'aspetto religioso in modo più incisivo come nelle sue ultime produzioni. 
Sullo sfondo del bianco letto dove è distesa la Santa, fa da sfondo la pala di un collaboratore di Bernini, il pittore Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio (1639-1709), che inquadrata il tutto fra teste di cherubini in stucco bianco. La Madonna con Gesù Bambino e sant'Anna (1675), dipinta in un fondale dai colori cupi, appare come una delicata visione paradisiaca alle sue spalle della Santa, un effetto scenografico esaltato dalla differenza dei materiali.
Altra vetta delle scultura della maturità di Bernini, il busto di Gabriele Fonseca, medico di papa Innocenzo X, realizzato tra il 1668 e il 1674, per la cappella di famiglia in San Lorenzo in Lucina.

La libertà di Bernini, serie di otto documentari sulla vita e l’arte di Gian Lorenzo Bernini, curata e presentata dallo storico dell'arte Tomaso Montanari, regia di Luca Criscenti, Italia, 2015
Prima messa in onda su Rai 5, dal 7 gennaio al 25 febbraio 2015