Sicilia. Catania e Noto

Festa barocca, 1980-1982

Dalla serie Festa Barocca, di Folco Quilici e Jean Antoine (L'Impero Barocco, 1980-1982), il filmato estratto presenta alcuni momenti emblematici del Barocco in Sicilia, attraverso immagini di monumenti che caratterizzano lo skyline di Catania e Noto. 
Per identità stilistiche, eventi storici e diffusione sul territorio, il Barocco siciliano rappresenta un capitolo complesso e a sé sul quale, lo studioso inglese Sir Anthony Blunt, pubblicava una prima ricerca pionieristica, ancor oggi fondamentale per la conoscenza del fenomeno (Il Barocco siciliano, 1968), dopo le molteplici distruzioni e rifacimenti storici che toccarono l'isola.

Infatti, il pieno sviluppo del Barocco in Sicilia inizia proprio a fine secolo, mosso dal fervore edilizio per la ricostruzione delle maggiori città distrutte dal violento sisma che travolge la Val di Noto nel 1693

Sua caratteristica principale, l'esuberanza decorativa che univa l'architettura colta, romana, napoletana e spagnola, alla tradizione artigianale locale, come succedeva in parte  nell'Europa dell'est (Europa dell’est. Italiani in Polonia e Lituania).
Tuttavia, malgrado lo stile si espandeva principalmente nel Settecento, anticipando in parte gli esiti del Rococò, prima del 1693, alcuni cenni di Barocco erano comunque presenti nell'isola, seppur spesso condizionati dalla tradizione architettonica autoctona e classicista del Tardo Rinascimento. 


Guarino Guarini, disegno della Chiesa della Santissima Annunziata, Messina

Ma non è questo il caso del monaco teatino e architetto Guarino Guarini (1624-1683), che approdava a Messina nel 1660,  dopo la conoscenza diretta dei grandi cantieri del Barocco romano. 
Guarini interveniva nella ristrutturazione della Chiesa della Santissima Annunziata, costruita nel 1607, lasciando nell'isola il primo esempio di Barocco, purtroppo definitivamente sparito, assieme all'attiguo collegio dei Teatini, nel terremoto del 1908.
La chiesa, che tra l'altro rappresenta la prima opera architettonica di Guarini (Torino. Dai Castellamonte a Guarini), rimodellata tra le molte perplessità dei contemporanei, introduce il nuovo linguaggio a partire da un corpo preesistente per cui, l'audace architetto e matematico, poneva il campanile in posizione asimmetrica rispetto al complesso. 

La Santissima Annunziata di Messina, esibiva una facciata mossa da linee concave e convesse, con ordini sovrapposti decrescenti e una sagoma piramidale che farà da modello a molte chiese siciliane del Settecento

L'interno a pianta centrale, circolare, era caratterizzato da una cupola che di sicuro anticipava le straordinarie invenzioni  realizzate da Guarini a Torino. Mentre nell'ambiente artistico siciliano dell'epoca, era ampiamente diffusa la decorazione ad intarsio marmoreo dai violenti effetti cromatici, come visibile nella Chiesa di Santa Caterina a Palermo, alla Santissima Annunziata di Messina Guarini concepiva un interno luminoso, con pareti decorate da fregi di stucco bianco, in piena sintonia con Borromini. 


Interno della Chiesa di Santa Caterina, Palermo

Il gusto per la decorazione, rimane comunque evidente negli artisti locali, come il caso del più importante degli scultori barocchi palermitani, Giacomo Serpotta (1656-1732), autore dell'Oratorio di San Lorenzo a Palermo (1699-1707).
Serpotta fu soprattutto stuccatore, a lui si deve l'invenzione della tecnica dell'allustratura, ossia la levigatura e lucidatura di marmi e altri materiali duri, trattati con particolari mezzi abrasivi. 


Giacomo Serpotta, Oratorio di San Lorenzo, 1699-1707, altare con la copia della "Natività" di Caravaggio, Palermo

Appartenente a una famiglia di collaudati stuccatori, Serpotta non lasciò mai Palermo e trascorse la vita a decorare le chiese della sua città, raggiungendo vette per nulla inferiori a quelle contemporanee del Barocco romano. 
Nell'Oratorio di San Lorenzo, iniziato a fine Seicento, Serpotta venne incaricato di realizzare a stucco la cornice della "Natività con i Santi Francesco e Lorenzo" di Caravaggio, opera del tardo periodo siciliano, trafugata da Cosa Nostra (1969) e mai più ritrovata. Serpotta, dopo aver incorniciato di bianco la tela scura del maestro lombardo, plasmava di stucchi abbaglianti l'intero spazio, allestito con le statue delle Virtù e otto teatrini a rilievo sulle pareti, dedicati alle storie dei due Santi. La straripante ricchezza inventiva, rappresenta senza dubbio l'apice Barocco nell'arte dello stucco.

Il grande terremoto del 1693 danneggiò gravemente cinquantaquattro città e trecento villaggi dell'isola; Noto fu completamente rasa al suolo, mentre Ragusa, Modica, Scicli, Militello, Ispica e Catania furono rovinate in modo grave

Al sisma, che provocò la morte di oltre centomila persone, successe un intervento di ricostruzione quasi immediato, connesso alla politica siciliana del tempo. Ufficialmente sotto il controllo spagnolo, l'isola era di fatto governata dall'aristocrazia autoctona guidata da Giuseppe Lanza (1608-1708), duca di Camastra, che gli spagnoli avevano nominato viceré di Sicilia. La Sicilia, contava moltissime famiglie nobiliari, una classe di governo di principi, duchi, marchesi, conti, visconti e baroni, che escludeva qualsiasi accenno di borghesia e perpetuava un sistema feudale rimasto invariato sin dalla conquista normanna (1071).

Inoltre, l'aristocrazia condivideva il proprio potere solo con la Chiesa cattolica, un organo di Inquisizione che faceva leva sul timore della dannazione per accaparrarsi offerte di beni ad ogni ricorrenza

Molti preti e vescovi erano a loro volta membri dell'aristocrazia, data la tradizione di spingere i cadetti maschi e femmine verso monasteri e conventi, al fine di preservare l'eredità di famiglia dalla divisione. Fu così che la ricchezza di certi ordini religiosi crebbe fuori ogni misura e la ricostruzione in chiave Barocca di chiese e monasteri, fu assicurata con larghi margini di investimento.

L'era Barocca della Sicilia, con il suo lussuoso sfarzo, riflette la storia sociale dell'isola e simboleggia il "canto del cigno" della sua nobiltà 

Nel 1730, arrivava nella Catania ancora devastata dal sisma, l'architetto palermitano Giovanni Battista Vaccarini (1702-1778), formato a Roma sugli esempi di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) e Francesco Borromini (1599-1667). Vaccarini elabora una poetica tutta personale: accresce il carattere e l’omogeneità stilistica degli edifici e conferisce una valenza scenografica allo spazio urbano in perfetto stile Barocco.


Cattedrale di Sant'Agata (Duomo), Giovanni Battista Vaccarini, 1732-1768, Piazza Duomo, Catania

A Catania, Vaccarini inizia l'ampliamento di Palazzo Biscari e la ristrutturazione della Cattedrale di Sant'Agata (1732-1768), oggi Duomo della città, per la quale, attinge idee anche dal  trattato di "Architettura Civile" di Guarini. 
Vaccarini, che da ora in poi lavorerà principalmente a Catania, darà un importante contributo alla ricostruzione dell'impianto urbanistico della città, come visibile nell'impostazione di Piazza Duomo, verso cui convergono tre grandi strade, simili al modello "tridente" di Piazza del Popolo. Qui, edifica anche "Palazzo senatorio" (1732-1750) e, simbolo di Catania, un piccolo Obelisco di gusto egizio, appoggiato sulla scultura di un elefante nero, scolpito su pietra lavica. 


Piazza Duomo con Cattedrale e Obelisco, Catania

L'iconografia, è la stessa da cui trasse ispirazione anche Bernini per il suo Obelisco di Piazza della Minerva a Roma. Vaccarini, che sfruttò molto la pietra lavica locale come elemento decorativo e non solo costruttivo, nel suo Obelisco la utilizza in alternanza ritmica con il marmo bianco.


Cattedrale di Sant'Agata (Duomo), dettaglio, Catania

Nel restauro della Cattedrale, originariamente una fabbrica normanna, Vaccarini alza una facciata concepita come “quinta” sulla piazza, caratterizzata dall’ordine gigante e dalla combinazione di materiali diversi: pietra calcarea, lavica e marmo. Le linee movimentate in ritmi concavi e convessi, tipiche dello stile classicista Tardo Barocco dell'architetto, saranno destinate a dominare la ricostruzione di Catania per decenni. 


Cattedrale di Noto, Rosario Gagliardi e Vincenzo Sinatra

Anche la città di Noto, venne ricostruita sotto la guida del Duca di Camastra che, per motivi di sicurezza, la edificò otto kilometri più a valle, lontana dunque dalla Noto Antica di struttura medioevale e normanna. 
Mentre a Catania l’accordo tra nobiltà, vescovo e governo di ricostruire la città sullo stesso luogo rese i lavori rapidi e non suscettibili di revisioni, a Noto le cose andarono diversamente. Infatti, lo spostamento del sito originario dal monte Alveria al colle Meti, fu oggetto di tormentate vicende; spettò all'oligarchia nobiliare, che dominava la società netina, la decisione definitiva e contraria al volere di braccianti e contadini. 

La Noto oggi divenuta celebre per il suo assetto architettonico e urbano, è frutto della scelta dell’oligarchia nobiliare ed ecclesiastica del tempo

Per la ricostruzione della città vennero chiamati ingegneri militari, matematici e architetti di grande rilievo. Oltre al nuovo piano urbanistico, che prevedeva strade più ampie e dunque sicure in caso di crolli, fu molto curato anche l’aspetto architettonico.
Capi mastri e scalpellini, sotto le abili direttive di ingegnosi architetti come Rosario Gagliardi (1690-1762), Vincenzo Sinatra (1707-1765), Paolo Labisi (1720-1798) e Antonio Mazza (1761-1826), costruirono il centro storico di Noto come oggi appare. Ampie strade intervallate da scenografiche piazze e imponenti scalinate a raccordo di terrazze e dislivelli, rispondendo a un progetto unitario di tessuto urbano coerente e ricco di episodi architettonici. 
Il Barocco di Noto pervade l'intera città, gli elementi non sono isolati all'interno del contesto urbano caratterizzato da diversi stili, ma sono collegati tra loro in modo da realizzare quella che è stata definita la "perfetta città barocca".


Chiesa di San Domenico, Rosario Gagliardi, 1703-1723, dettaglio facciata, Noto

A differenza di quanto accade nelle ricostruzioni delle province del Sud Italia, come soprattutto Lecce e Catania, gli architetti che lavorano a Noto non puntano solo su motivi ornamentali che qui restano sempre ben controllati, ma si ingegnano in edifici elaborati, con l'impiego di facciate concave e convesse che risplendono nel colore della tenera pietra locale, tra il dorato e il rosato. 

APPROFONDIMENTO
Federico Zeri: il Barocco di Noto
L'eterno Barocco siciliano