Murillo, il sacro e l'infanzia

Murillo, il sacro e l'infanzia

Il restauro della "Madonna del latte"

Murillo, il sacro e l'infanzia
Il Seicento spagnolo è considerato dalla critica il “Siglo de oro”. La ricca produzione culturale del paese contempla nomi illustri di poeti, drammaturghi (Cervantes, Gongora, Gracian, Calderon de la Barca e Lope de Vega) e grandi pittori: Jusepe de Ribera (1591-1652), Francisco de Zurbarán (1598–1664), Alonso Cano (1601-1667), Diego Velàzquez (Velázquez, il pittore dei pittori) e Bartolomé Esteban Murillo (1618-1682).  
Già da fine Cinquecento, Madrid e Siviglia diventano i due maggiori centri culturali ed artistici della Spagna. La capitale della corte degli Asburgo sosteneva grandi firme come quella del pittore fiammingo Pieter Rubens (1577-1640) e dell’allievo Velàzquez (1599-1660), tra l’altro giunto da Siviglia, promotori del naturalismo seicentesco e soprattutto del “neovenetismo” che caratterizzerà, in parte, lo stile Barocco, non solo spagnolo. 

A differenza di Madrid, Siviglia godeva di una prospera e singolare situazione commerciale essendo, dal Cinquecento, una città cosmopolita, sede della “Casa de Contratación”, l'organismo commerciale che deteneva il monopolio delle merci provenienti dalle ricche colonie americane

Grazie agli scambi con Genova, anche a Siviglia entrarono presto opere barocche di gusto fiammingo e veneziano, ma la città espresse una particolare e speciale sensibilità per quel “realismo” del quotidiano di ascendenza caravaggesca, di cui la pittura spagnola fu grande interprete per tutto il Seicento.
La “Madonna del latte” di Murillo, conosciuta anche come “Madonna zingara”, era una delle opere più ricercate e ammirate nell'Ottocento dai visitatori che frequentavano la Galleria Corsini di Roma, dove la tela è tuttora conservata.


Bartolomé Esteban Murillo, Madonna del latte, olio su tela 164x108cm., Gallerie Nazionali d'Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma

Dopo alcuni interventi di pulitura dell’opera, fatti tra Otto e Novecento per rimuovere vernici ossidate e vecchi ritocchi, solo nel 2020, con sofisticati sistemi radiografici, sono emerse non solo tracce di ripensamenti abbastanza usuali nell'iter creativo di un artista, ma evidenti segni di un precedente dipinto.


Bartolomé Esteban Murillo, dettaglio Madonna del latte, olio su tela 164x108cm., Gallerie Nazionali d'Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma

Dipinta nella fase matura di Murillo, verso il 1675, la storia della “Madonna del latte” e del suo restauro rivelatore, viene qui spiegata dallo storico dell’arte e curatore delle Gallerie d’Arte Antica di Palazzo Corsini e Barberini, Alessandro Cosma e dalla restauratrice Chiara Merucci. 

Il riuso delle tele non è una novità, ma qui l’eccezionalità sta nell’impiego di parti appartenenti a una figura precedente riusate come base per il nuovo quadro, come le pieghe del saio del santo che formano il panneggio della gamba della Madonna
Alessandro Cosma

Prima che il talentuoso Murillo consegnasse alla storia la seducente immagine femminile della Madonna con bambino, aveva impresso nella tela la figura di un santo, quasi sicuramente un San Francesco in preghiera, coperto poi in fase avanzata di esecuzione dalla figura della Vergine.
Cosma, responsabile del restauro, sottolinea che gli esami hanno evidenziato anche interventi ripetuti dell'artista in alcune parti della figura femminile e in particolare, sugli occhi e sul seno, parzialmente scoperto nella versione definitiva, ma celato dalla veste in una fase precedente.    
Icona di successo, la “Madonna del latte” risultava nelle raccolte Corsini dal 1784, ma le ultime ricerche dello studioso effettuate per il restauro dell'opera, consentono di anticipare la presenza della tela nel Palazzo di via della Lungara già nel 1773, quando la testimonianza di un altro visitatore illustre, il pittore Jean-Honoré Fragonard (1732-1806), venne colpito dall'immagine di Murillo che aveva potuto ammirare nella camera da letto del cardinale Neri Maria Corsini.


Bartolomé Esteban Murillo, dettaglio Madonna del latte, olio su tela 164x108cm., Gallerie Nazionali d'Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma

Ultimo di quattordici fratelli, figli del barbiere Gaspar Esteban e María Pérez Murillo, proveniente da una famiglia di argentieri, l’artista rimasto presto orfano fu affidato alla sorella maggiore.
Dell’infanzia di Murillo e della sua formazione come pittore, non esistono molte prove documentali, forse svolse l’apprendistato presso un artista locale parente della madre, Juan del Castillo (1590-1657). Tuttavia, il naturalismo di ascendenza fiamminga e soprattutto caravaggesca che manifesta nelle prime opere importanti, sono il risultato di un apprendistato avvenuto a Siviglia, nell’ambiente di artisti della generazione precedente. Da Velàzquez, presto approdato alla corte di Filippo IV, a quella soprattutto di Zurbarán, il più maturo interprete dell’ideologia controriformista, dal quale Murillo, oltre ad apprendere il primo “tenebrismo”, porterà avanti la produzione di opere sacre per la committenza privata cittadina e per contesti religiosi. 


Francisco de Zurbarán, Immacolata, 1632, olio su tela 252×170cm., Museo Nazionale d'Arte della Catalogna, Barcellona

Zurbarán dipinse numerose tele dell’“Immacolata Concezione” in difesa del dogma cattolico del peccato originale, sancito con il Concilio di Trento, per cui la Madonna appariva come l’unico essere mortale liberato dalla colpa. La fede indiscussa consacrò in Spagna un intenso fervore per l'Immacolata e a partire dal 1644, venne istituita la festa dell'8 dicembre.

Maria con il volto di bambina in estasi, vestita di rosa, appare in piedi su cinque cherubini che occupano una mezza luna e intorno a lei, una moltitudine di stelle e angeli con gigli e rose attributi di purezza, si confondono tra le nuvole e nell'aureola che circonda la testa 

Nel 1645, Murillo sposava Beatriz Cabrera madre di nove figli, di cui solo cinque sopravvissero alla morte prematura della donna. Lo stesso anno del matrimonio, Murillo riceve la prima importante commissione della sua carriera, undici tele per il Chiostro del Convento di San Francisco a Siviglia, a cui lavorò fino al 1648. 
I dipinti, dispersi dopo la Guerra d'Indipendenza narravano, con intenti rigorosamente controriformati, alcune storie inedite di Santi dell'ordine francescano, per esaltare la vita contemplativa di preghiera.
Fino agli anni Cinquanta del Seicento e un po’ oltre, leitmotiv delle opere sacre di Murillo sono l’estremo naturalismo e la propensione a contrasti luminosi alla Zurbarán, dove spiccano figure con guardi intimi, sorrisi delicati ed empatici, volti estatici, ma sempre discreti, silenziosi e umili.  
Nel 1649, una devastante peste arrestò la prosperità di Siviglia, la popolazione si dimezzò e i centri urbani furono lasciati semideserti. Tuttavia, l'assenza di nuove fondazioni conventuali non pose fine alla richiesta di opere d'arte sacra poiché chiese e monasteri non smisero di arricchire con propri mezzi e donazioni di personaggi facoltosi, le dimore religiose.


Bartolome Esteban Murillo, Immacolata Concezione, 1665-’70, olio su tela, Museo del Prado, Madrid 

Dopo il “tenebrismo” della prima maniera, Murillo evolve il proprio stile nei temi sacri: emerge la ricerca di una maggiore mobilità e intensità emotiva di Madonne interpretate da giovani donne con sguardo delicato e intimo, come visibile nelle tantissime “Immacolate”, e nelle diverse versioni di “Vergini col Bambino”, "Adorazioni di Pastori” e "Sacre Famiglie".

Murillo matura nuove formule barocche con una sensibilità di sapore raffaellesco e correggesco, peculiare delle sue creazioni iconografiche sacre dedicate a Gesù bambino 

Nel 1658, Murillo soggiorna alcuni mesi a Madrid, dove incontra il grande “pittore di corte” Velázquez; la sua pittura diviene più luminosa, i colori più chiari e soprattutto, inizia ad approfondire l’aspetto aneddotico e narrativo delle scene sacre. 
I motivi del viaggio sono sconosciuti, ma si presume che, stimolato dal coetaneo Francisco de Herrera il Giovane (1622-1685), volesse conoscere gli ultimi sviluppi della pittura praticata a corte. 
Al suo ritorno a Siviglia, Murillo fondava un'Accademia di disegno, per permettere a pittori e scultori, vecchi e giovani, di perfezionare la copia del nudo “dal vero” con modelli pagati dai maestri. Murillo fu il primo presidente, assieme ad Herrera. 


Bartolomé Esteban Murillo, Nascita della Vergine, 1660-’61, olio su tela, 179×349cm., Museo del Louvre, Parigi

Risale al 1660, una delle opere più significative della produzione di Murillo: la “Nascita della Vergine” dipinta per il sovrapporta della Cappella della Concezione della Cattedrale di Siviglia, dove l’artista intervenne con diverse opere. 
Al centro, un gruppo di donne e angeli evocanti i soffici pennelli di Rubens, volteggiano gioiosamente attorno al neonato che emana una luce intensa. A sinistra e in penombra, Sant'Anna e San Gioachino e a destra, due cameriere che asciugano i panni sopra un camino. 
Lo studiato ordine di luci sparse ricorda la pittura di Rembrandt (1606-1669) che Murillo poteva aver visto su stampe o anche collezioni sivigliane, come quella di Melchor de Guzmán, Marchese di Villamanrique, committente del pittore spagnolo, noto per possedere un dipinto del grande pittore olandese esposto in pubblico in occasione importanti.


Bartolomé Esteban Murillo, Bambini con conchiglia, 1670 ca., olio su tela, 104x124cm., Museo del Prado, Madrid 

Con lo stesso registro naturalistico, Murillo si specializzò in scene sacre di bambini trattati con una dolcezza e un sentimento che evocano Raffaello e Correggio, in linea con la pittura Barocca "degli affetti". 
L'interesse del pittore per i temi dell'infanzia è evidente nelle molte figure isolate di Gesù addormentato o benedicente, o del piccolo San Giovanni, come nei “Bambini con conchiglia”, opera matura dell'artista. 

Gesù bambino in piedi, con la testa leggermente inclinata, dona l'acqua da bere in una conchiglia al Giovannino che regge la croce del suo martirio con la scritta Ecce Agnus Dei. A sinistra, un agnellino seduto osserva la scena

Nella Spagna asburgica seicentesca, Murillo si dimostrò sensibile alle miserie di un’infanzia abbandonata a sé stessa e priva di risorse. L’artista, che si dedicava ai suoi figli rimasti orfani, partecipò con spirito empatico facendo sentire la sua voce per sensibilizzare la nobiltà ad assistere giovani poveri e diseredati.
Nella sua vasta produzione, circa venticinque dipinti “di genere” sono dedicati a bambini in diverse situazioni, come contrappunto alle scene sull'infanzia di Gesù.

Provenienti oggi in gran parte da musei stranieri, queste opere dal sapore picaresco non erano apprezzate nella Spagna di allora e probabilmente, furono dipinte per conto di mercanti fiamminghi insediati a Siviglia, già clienti di dipinti religiosi

Le composizioni “di genere” dedicate all’infanzia permisero a Murillo di approfondire aspetti più personali e geniali del suo linguaggio.
Da osservatore acuto, l’artista cattura un vasto repertorio di ragazze e monelli di strada che riflettono ed interpretano la sensibilità religiosa e sociale del tempo. Vivaci e scaltri, questi giovani mostrano il lato piacevole della triste realtà dell’epoca, molto diversa da quanto accadeva nel Nord d’Europa, dove la rappresentazione della vita quotidiana e dei figli, riscuoteva successo.


Bartolomé Esteban Murillo, Ragazzi che mangiano uva e melone, 1665-1675 ca., olio su tela, Alte Pinakothek, Monaco 

Le influenze dei “Bamboccianti” olandesi non bastano a spiegare l'approccio spontaneo di Murillo al genere che, nella scelta dei soggetti, crea una pittura inedita tutta giocata sull'attrazione del pittore per la psicologia infantile, manifestata in sorrisi spontanei di gioia. Bambini mendicanti, ragazzi di umili origini che giocano, mal vestiti e cenciosi, trasmettono ottimismo e incitano al divertimento.
Decisivo per Murillo fu il 1663, anno in cui la moglie morì di parto all’età di 41 anni. La sua vedovanza durò per il resto della sua vita, non si risposò, né si trasferì mai da Siviglia, ritirandosi con la famiglia in un convento di padri Cappuccini e rifiutando addirittura l’offerta di Carlo II che, nel 1670, lo avrebbe voluto come “artista di corte”. 
La leggenda della sua morte è legata alla commissione di un’opera, “Lo Sposalizio Mistico di Santa Caterina”, fatta per il convento dei frati Cappuccini di Cadice: Murillo sarebbe morto per una caduta dall'impalcatura dove stava dipingendo.
Riportato a Siviglia in condizioni critiche, Murillo morì nel 1682, lasciando molti allievi e seguaci. 

FOTO DI COPERTINA
Bartolomé Esteban Murillo, dettaglio della Madonna del latte, olio su tela 164x108cm., Gallerie Nazionali d'Arte Antica, Palazzo Corsini, Roma