Joseph Olbrich e la "Colonia" di Darmstadt

Passepartout, 2013

Tratto da Passepartout (Arti decorative, 2013), in questo estratto Philippe Daverio (1949-2020) visita Darmstadt, città tedesca dell'Assia dove sono conservati alcuni pregevoli oggetti originali di proto-design, icone della storia realizzate da artisti tedeschi che qui lavorarono con l’architetto e designer Joseph Maria Olbrich (Un moderno Palazzo per la Secessione viennese). 
Dopo essere stato uno dei protagonisti della Secessione viennese, nel 1899 Joseph Olbrich (1867-1908) venne invitato dal Granduca Ernesto Luigi d'Assia a collaborare alla creazione della "Colonia di Mathildenhöhe" la prima associazione di artisti riuniti a Darmstadt per sviluppare quell'ideale di “unità delle arti” promosso a metà Ottocento dalle esperienze inglesi delle “Arts and Crafts” (Gli esordi di Gustav Klimt).  
Il progetto del Granduca voleva incoraggiare la crescita economica della regione mediante una produzione di qualità, architetture e manufatti di arredo che sarebbero poi stati presentati al pubblico in una serie di esposizioni annuali.
“Mathildenhöhe” divenne luogo di straordinarie sperimentazioni e innovazioni artistiche: qui, un sovrano di ampie vedute e un gruppo di giovani artisti realizzarono la fusione di “arte e vita”, secondo la moderna idea di “opera d’arte totale”.


Josepf Maria Olbrich, Progetto per una casa della Colonia di Mathildenhöhe a Darmstadt, 1901-1902

Il grande studioso di design, l’architetto Vanni Pasca (1936-2021), qui invitato ad intervenire, spiega l’importanza centrale della figura di Olbrich il cui lavoro, in quest’epoca, risponde alle esigenze di grandi mutamenti che investono il mondo dell’arte. La “Comunità” di Darmstadt formata da nuovi artisti-progettisti uniti da ideali moderni, minava le vecchie fondamenta estetiche dell’arte finalizzata al solo piacere e diletto. 

La nuova categoria di oggetto “funzionale”, infatti, avvicinava la creazione artistiche al mondo dell’economia: nasceva il design

Inaugurata nel 1901 e chiusa nel 1914, la “Colonia di Mathildenhöhe” fu quasi integralmente progettata e realizzata da Olbrich, che qui soggiornò e finì la sua vita abbastanza precocemente.

Joseph Maria Olbrich, Casa del Granduca Ernesto Luigi, Colonia di Mathildenhöhe, 1901, Darmstadt

Esemplare, la casa-atelier in stile Jugendstil del Granduca Ernesto Luigi, luogo di lavoro, punto di ritrovo per la “Colonia” e spazio espositivo. 
L'entrata della casa del Granduca, posta in una nicchia decorata con motivi floreali dorati è affiancata da due enormi statue di sei metri, opera del tedesco Ludwig Habich: il soggetto, "Uomo e donna" o "Forza e bellezza". 
Tutte le case degli artisti della colonia erano raccolte attorno a questo atelier che, verso la fine degli anni Ottanta del Novecento, divenne il Museo della “Colonia di Darmstadt”, l’attuale Mathildenhöhe.

Joseph Maria Olbrich, Torre delle nozze, Colonia di Mathildenhöhe, 1905-‘08, Darmstadt

Accanto al Palazzo del Granduca, Olbrich progettò anche la "Torre delle nozze", inaugurata nel 1908, come dono della città in occasione del secondo matrimonio del sovrano.
Eretta sulla cima della collina di Mathildenhöhe, la Torre panoramica, diventata il simbolo di Darmstadt.
Come sua prassi, Olbrich progettava volumi liberamente giustapposti, sopprimendo assialità, simmetrie, facciate e negando il concetto dell’edificio concluso entro un involucro elementare.
L’alta Torre di mattoni vermigli, infatti, è visivamente tagliata da finestre angolari che contrastano la massa e termina con tumescenze simili a canne d’organo. 

Peter Behrens, La casa di Behrens, Colonia di Mathildenhöhe, Darmstadt

Vicino a Olbrich, lavorava l’architetto coetaneo Peter Behrens (1868-1940), futuro padre del funzionalismo tedesco che, a queste date, coinvolto solo come pittore-grafico, qui realizzerà la sua prima opera architettonica, la sua casa di Mathildenhöhe. Behrens progettò ogni elemento dell’edificio, fino all'arredamento e alle suppellettili. Il progetto, vera e propria “opera d'arte totale”, è considerato la svolta della sua carriera, il definitivo abbandono dell'arte e delle correnti Jugendstil a favore di uno stile razionale, più sobrio e austero. 

Lo stile di vita della “Colonia” perseguiva ideali di bellezza, felicità, semplicità e funzionalità 

L’aspetto utopistico, particolarmente rilevante negli esaltanti inizi, quando la “Colonia” di artisti era ancora sotto l’influenza dell’estetismo Jugendstil un po’ elitario, dopo il 1901 si fece via via più razionale e realistico. L’evoluzione è visibile nei numerosi edifici realizzati a Mathildenhöhe tra il 1900 e il 1914, presentati al pubblico in quattro mostre (1901, 1904, 1908, 1914). 
Inizialmente, gli artisti, avevano progettato solo ville private, ma negli anni, costruirono case ad appartamenti per lavoratori confrontandosi così con le questioni sociali emergenti del tempo.
Oggi, la “Colonia di Mathildenhöhe” è un “museo a cielo aperto” dove l’opera d’arte è rappresentata dai palazzi, dalle fontane e dalle sculture. 

Joseph Maria Olbrich, Vetrata, 1901, Hessisches Landesmuseum, Darmstadt

Sempre a Darmstadt, Daverio chiude il tour sulle origini del design all’interno del “Museo Statale dell'Assia” (Hessisches Landesmuseum), una raccolta di origini settecentesche che lo stesso Granduca Ernesto Luigi d'Assia, a metà Ottocento, cambiò radicalmente per dare alla variegata collezione un'esposizione che esaltasse il concetto di ”unità delle arti”. 
Il sovrano commissionò il nuovo edificio all’architetto di Darmstadt Alfred Messel (1853-1909) capace di concepire uno spazio pensato su nuovi criteri di museologia.  Inaugurato nel 1906, gli interni conferivano ad ogni collezione una specifica collocazione architettonica ottimale per ogni oggetto.  
Le variegate collezioni del ”Landesmuseum”, artistiche e di storia naturale, contemplano diverse testimonianze, dai fossili, fino a tesori medievali, dipinti di scuola nordica (Pieter Brueghel, Peter Paul Rubens, Arnold Bocklin, August Macke), collezioni di grafica (Albrecht Durer) e anche, un importante selezione di oggetti Art Nouveau
Qui spiccano rari e preziosi pezzi: i bicchieri da acqua e vino disegnati da Olbrich, esposti a confronto con quelli di Behrens e Moser e la notevole collezione di gioielli cesellati da grandi artisti della scena Art Nouveau europea (Georges Fouquet, Alphonse Mucha, Eugène Gaillard, Josef Hoffmann, Koloman Moser), tra cui, Henry van de Velde (1853-1957).
Van de Velde, di origini belghe, è stato anche l’ispiratore del primo periodo “espressionista della Scuola Bauhaus (1919-1933). Walter Gropius, infatti, riprendeva il suo lavoro nell’andare a dirigere la “Scuola di Arte e Artigianato Artistico” di Weimar quando, per problemi di xenofobia, van de Velde fu costretto a lasciare la Germania (1917). 

Van de Velde diede un'impronta così forte al nuovo stile floreale che esso passò anche sotto il nome di “Style Van de Velde”

Per l’architetto e designer, la progettazione di una sedia, un tavolo o una casa, aveva la medesima dignità artistica. Per questo, le sue abitazioni erano costruzioni unitarie, di “arte totale”, che seguivano le esigenze dei committenti nel rispetto di un principio di coerenza interna. Ogni elemento dell'ambiente doveva porsi in relazione e affinità con gli altri e ciò, avrebbe suscitato una sorta di “simpatia psicologica” tra la persona e lo spazio di vita quotidiana.  


Henry van de Velde, Scrivania per la redazione della Revue Blanche, 1898. Legno di quercia, 76x261x100 cm

Il Museo dell’Assia conserva la nota scrivania firmata van de Velde realizzata per la rivista “Revue Blanche” nel 1898. La sagoma dall’andamento delle linee curvilinee, fa sì che l’oggetto si adatti ai movimenti di chi lo usa, un’idea di moderna ergonomia rispettosa delle esigenze di lavoro, o di riposo del suo utente.

Il mobile, realizzato in legno massiccio, assolve anzitutto esigenze funzionali per cui ogni dettaglio ha una motivazione pratica

La forma avvolgente a fagiolo facilita il lavoro, le cassettiere laterali leggermente oblique vanno incontro all’utente e le maniglie disegnate con la sua tipica linea “a frusta”, sono più ergonomiche.  Inoltre, i due vani laterali perfetti per riporre documenti, nello stesso tempo alleggeriscono la struttura. Il profilo in ottone che delimita lo spigolo anteriore trattiene gli oggetti e inserisce in modo organico i candelabri, altrimenti slegati dal contesto.

FOTO DI COPERTINA
Henry van de Velde, Scrivania per la redazione della Revue Blanche, 1898, legno di quercia, 76x261x100 cm