Giovanni Guardiano: "Io sono Canova"

Da "Io sono Venezia"

Tratto dal documentario di Rai Cultura, “Io sono Venezia (di Davide Savelli, Massimiliano Griner, Marta La Licata, Alessandro Chiappetta; regia di Graziano Conversano, 2023), l’estratto mostra un’intensa interpretazione di Giovanni Guardiano, attore di teatro e di cinema di origine siciliana, qui nei panni di Antonio Canova.

Canova non fu solo un grande artista, ma anche un difensore integerrimo del patrimonio artistico nazionale 

Guardiano coglie la moderna personalità di un Canova maturo, un artista all’apice del successo internazionale che tra mille impegni, nel 1815 veniva incaricato da papa Pio VII di recuperare i tesori italiani rubati da Napoleone.
Canova era già un personaggio pubblico: nel 1802, veniva nominato Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato Pontificio, dell’Accademia di San Luca, dei Musei Vaticani e del Campidoglio. 
Nel decennio successivo poi, poteva permettersi di rifiutare l’incarico di soprintendente conferitogli da Napoleone che, per allestire il suo “Museo universale”, l’attuale Louvre, stava spogliando l’Italia dei suoi capolavori.
Il saccheggio avvenne tra 1796 e il ‘98: il bottino fu ghiotto, tra musei, chiese e collezioni, partendo da Milano, Monza, Bologna, Parma, Ferrara, Verona, Mantova, Venezia e Roma, sculture, quadri, apparati di ogni tipo, venivano inviati via fiume e mare a Parigi.
Dopo il Congresso di Vienna, grazie allo spiccato senso civico dell'uomo e dell'artista, Canova utilizzava tutte le sue doti diplomatiche per far rientrare in Italia molte opere, fra cui tele di Caravaggio, Veronese, Reni, Carracci, Tiepolo e i Cavalli di Venezia, di cui qui parla Guardiano 

Appena arrivato a Parigi, Canova si era reso conto che senza alleati di peso l'impresa non sarebbe neppure iniziata

Ma l'artista che aveva incantato aristocratici, sovrani e imperatori non si diede per vinto. Vivant Denon, dal 1802 direttore del Museo Napoleon, si opponeva a ogni restituzione che considerava un furto alla Francia. Canova fece redigere una nota dettagliata di tutti gli oggetti prelevati dal Louvre, con la data del prelievo. Il tutto, avvenne agevolmente grazie all'aiuto di un importante diplomatico inglese, William Richard Hamilton, sottosegretario del ministro degli Esteri britannico.

Fu così efficiente nel suo lavoro di catalogazione e di imballaggio che il principe Talleyrand lo ribattezzò con sarcasmo da Monsieur l'Ambassadeur” a “Monsieur l'Emballeur”, l’imballatore

Il compito dello scultore fu gravoso, anche per l'assenza di una lista precisa dei furti: tutto ciò che tornò in Italia fu grazie alla sua prodigiosa memoria.
Alla fine del 1815, un convoglio di quarantuno carri, trainati da 200 cavalli, trasportavano 249 opere verso varie destinazioni italiane. I carri furono accolti dalle popolazioni locali in festa e anche Giacomo Leopardi esultò per le opere "ritornate alla patria". 
A Roma tornarono “l'Apollo del Belvedere”, il gruppo del “Laocoonte” e la “Trasfigurazione” di Raffaello Sanzio, oggi tutte ai Musei Vaticani. 
Giustizia era fatta, anche se, secondo gli archivi ufficiali, all'appello mancavano molte opere delle 506 razziate.
Ma il merito dell'impresa fu tutto di Antonio Canova.

FOTO DI COPERTINA
Giovanni Guardiano nei panni di Canova