Vermeer, la luce, gli interni e la sua Delft

Un racconto di Tomaso Montanari

Nella serie in quattro puntate, "I silenzi di Vermeer" (2019), lo storico dell'arte Tomaso Montanari racconta l'opera di uno dei grandi protagonisti dell’arte olandese ed europea del Seicento, Johannes Vermeer (1632-1675)

Negli anni recenti, l'artista di Delft ha conosciuto una grande popolarità, grazie al cinema e a una letteratura di consumo che però non aiuta a comprendere correttamente la portata della sua arte
Tomaso Montanari

Della vita di Vermeer conosciamo pochissimi fatti, in parte certificati da qualche raro documento ufficiale d'epoca, come la data di battesimo, di matrimonio con Catharina Bolnes, o le vendite di quadri. 
In Olanda inoltre, a differenza dell’Italia, nel Seicento non germinò nessuna letteratura artistica, pertanto, Montanari prende in esame le sole opere oggi attestate al maestro di Delft, trentasei quadri custoditi nei maggiori musei d'Europa e Stati Uniti attraverso i quali, lo storico dell’arte, indaga i motivi che hanno reso straordinaria la pittura di Vermeer nella sua essenza più vera. 

Prima puntata
La poesia di ogni giorno

Nella prima puntata qui proposta, Montanari introduce la fortuna critica di Vermeer.
Nato nel 1632 nella piccola Delft, cittadina di provincia olandese, Vermeer muore giovane a soli quarantatré anni, forse di afflizione per non essere stato in grado di mantenere la numerosa famiglia.
Dopo la sua morte, la figura dell’artista cade nell’oblio fino al 1866, quando il critico d'arte francese Etienne-Joseph-Théophile Thoré (1807-1869), noto con lo pseudonimo di W. Bürger, esponeva sei Vermeer della sua collezione, nella prima mostra parigina dedicata alla pittura olandese del Seicento, allestita al Palais des Champ-Élysées. L’esposizione presentava al pubblico ben undici quadri attribuiti all’artista, tra cui quelli oggi noti come “Donna in piedi alla spinetta” (National Gallery, Londra) e “Donna con collana di perle” (Gemäldegalerie, Berlino), appartenuti a Bürger. 
Bürger aveva viaggiato in tutta Europa per identificare i dipinti attribuiti a Vermeer dai suoi contemporanei, opere che spesso, per alzare i prezzi, erano assegnate a uno dei pittori olandesi di genere più noti e quotati all'epoca, Pieter de Hooch (1629-1684). Con il materiale raccolto presso musei, collezioni europee, nonché archivi olandesi, Bürger pubblicava due lunghi articoli su Vermeer, accompagnati da un generoso catalogo di circa quarantacinque opere.
L'interesse di Bürger per Vermeer, risaliva al 1842, anno in cui durante un tour nei musei olandesi, rimase profondamente impressionato da “Veduta di Delft” (Mauritshuis, L'Aia), lo stesso dipinto che spinse il grande Marcel Prust, a visitare l’esposizione di artisti olandesi allestita al Jeu de Paume nel 1921. Per ritrovare quell'emozione di meraviglia che aveva raccontato nella sua “Recherche” (1913-1927), narrando la morte del protagonista, Prust metteva fine alla vita di Bergotte proprio davanti alla “Veduta di Delft”, quando un improvviso malore accompagnava le ultime riflessioni:

E' così che avrei dovuto scrivere … I miei ultimi libri sono troppo secchi, avrei dovuto stendere più strati di colore, rendere la mia frase preziosa in sé, come quel piccolo lembo di muro giallo

Mentre Prust amava il Vermeer messo in luce da Thoré-Bürger, nel Novecento il catalogo dell’artista subiva un improvviso incremento grazie all’abilissimo falsario olandese Han van Meegeren (1889-1947), capace di ingannare pittori, collezionisti, intenditori d’arte e gerarchi nazisti. Van Meegeren studiò le tecniche pittoriche di Vermeer, guardandosi bene dal replicarne i soggetti, ma lavorando principalmente per crearne di nuovi. Il falsario acquistava olii e pennelli del Seicento, comprava per pochi soldi antichi dipinti dello stesso secolo, li raschiava e restaurava con lo stesso stile del maestro di Delft, per poi, con le sue conoscenze tecniche, provocarne l’invecchiamento attraverso la cosiddetta “crettatura” della pellicola pittorica.

Il mondo raffigurato dagli artisti olandesi ha l’aspetto e l’immediatezza della vita reale quotidiana: paesaggi, città, chiese, strade, cortili, case ed interni, tutto parla della pace e della prosperità del suo popolo 

Vermeer fu attivo nel “Secolo d’Oro” della pittura olandese, un’epoca che durò poco meno di cinquant’anni anni e che ebbe il suo apice nella metà del Seicento. A questo periodo di floridezza economica e stabilità sociale, l’Olanda giungeva dopo una lunga guerra, iniziata nel 1559 e finita nel 1648 con la Pace di Münster, un conflitto di circa ottant’anni combattuto tra il paese di tradizione calvinista e la Spagna cattolica. 
Con la nuova delimitazione dei confini e la nascita della "Repubblica delle Provincie Unite", nel 1618, il popolo olandese creava i propri valori espressi nel mito di un quotidiano operoso, sereno, sobrio e benestante. 
Orgogliosi delle loro conquiste, determinati a dotare il paese di fondamenta solide per garantire continuità culturale, gli olandesi strappavano al mare la loro terra creando uno dei più moderni sistemi di comunicazione di canali e strade adeguate al commercio. 

In questa cornice culturale, l'arte della giovane nazione che non possedeva risorse adeguate per essere alimentata e sostenuta dopo la lunga ed estenuante guerra, veniva bandita anche dalle chiese protestanti che avevano cancellato ogni immagine dai muri 

Proprio a Delft, nel 1566, il clero calvinista fece la sua rivolta iconoclasta distruggendo opere di valore liturgico. L'Olanda del Secolo d’Oro, vede così fiorire la “pittura di genere”, non solo ritratti, paesaggi o nature morte, ma un proliferare di soggetti nei quali ogni artista si specializza: marine, animali, fiori, osterie, interni e tanto altro, una moltiplicazione che rispecchia le diverse e variegate individualità di artisti, tutti specializzati in qualcosa che investiva il loro quotidiano.

Questi dipinti apparentemente aneddotici, sono in parte metafore che rappresentano la nuova classe borghese, spina dorsale della potenza economica di una piccola nazione protestante e in parte anche cattolica ed ebrea, molto tollerante e dedita a quegli incontri intimi che Vermeer fissava sulla tela in modo efficace

Le prime opere del giovane Vermeer risalgono agli anni del matrimonio con Catharina (1653), giovane cattolica figlia di Maria Thins, molto vicina all'ordine dei gesuiti, sorella di un pittore della Scuola di Utrecht e collezionista di opere d'arte spesso riprodotte dall'artista. 
Vermeer, indotto dalla suocera alla conversione cattolica, convolò a nozze poco prima della sua iscrizione alla Gilda di San Luca. L’artista e la moglie si trasferirono nella casa di Maria, situata nella zona detta “angolo dei papisti”, perché adiacente alla chiesa cattolica di Delft. La coppia ebbe quindici figli, di cui undici sopravvissuti, quasi tutte femmine.  

Le prime opere di Vermeer, eseguite tra il 1653 e il 1656, sono scene di storia sacra e mitologia antica, dipinti molto lontani da quelli che lo renderanno celebre, ma indicativi della sua formazione

A Delft e in altri centri artistici dell'Olanda, esisteva un mercato di dipinti di storia d’ispirazione classica: Vermeer emula una serie di orientamenti stilistici provenienti da fonti diverse, non solo olandesi come quella del caravaggista di Utrecht, Hendrick ter Brugghen (1588-1629), e di Rembrandt (1606-1669), ma anche italiane. Non esistono ad oggi notizie di un viaggio di Vermeer in Italia, ma è certo che l'artista poteva aver accesso a copie e originali non solo grazie alla suocera, o al padre stesso che era stato mercante d'arte, ma anche al contatto con artisti che nella penisola avevano soggiornato, a partire dal pittore di Delft, Leonard Bramer (1596–1674), a capo della Gilda dei pittori. 
L'approccio del giovane Vermeer alla pittura di storia, è visibile in "Cristo in casa di Marta e Maria" (1654-55) e in "Diana e le ninfe" (1553), quest’ultimo, quadro che colpì moltissimo Roberto Longhi (1890-1970) per la resa di “valori pittorici concreti” dove il critico leggeva l'innesco con la cultura italiana di Orazio Gentileschi (1563-1639). Calzante anche il confronto con l'opera coeva della "Betsabea" di Rembrandt, a dimostrazione che, probabilmente, Vermeer era stato ad Amsterdam prima di sposarsi e stabilirsi a Delft. "Diana e le ninfe", inoltre, unica scena mitologica ambientata all'aperto, fu probabilmente dipinto in occasione del matrimonio dell'artista.
"Cristo in casa di Marta e Maria", per l'insolito grande formato forse destinato a una chiesa cattolica clandestina o un cliente di fede, rappresenta il secondo e unico quadro sacro di Vermeer. 

Maria ascolta Gesù, mentre la sorella Marta si affanna a servire il Maestro che però la riprende, incitando la donna a lasciar stare le cose materiali a favore di gesta contemplative e spirituali

Il tema spiccatamente caravaggesco, ricorda gli esiti della Scuola di Utrecht, Dirck van Baburen (1595-1624) e ter Brugghen, ma anche Diego Velázquez (1599-1660), mentre la maestria dei colori, il chiaroscuro e le ampie pennellate, attestano la sperimentazione del giovane Vermeer delle tecniche di Pieter Rubens (1577-1640), Rembrandt e Antoon van Dyck (1599-1641). 
L'episodio di educazione sentimentale di due giovani donne, forse la suocera e la moglie, è composto in maniera equilibrata dentro una piramide. Le tre figure strettamente collegate tra loro dai gesti e dallo sguardo, vestono i colori primari del rosso, giallo e blu separati al centro dal bianco della tovaglia che così, focalizza la luce e l'attenzione.

La "pittura di genere" ha ormai perso con Vermeer l'ultima traccia di bizzarria; le pitture di Vermeer sono vere nature morte con esseri umani
Ernst Gombrich

La differenza tra i molti pittori di interni dell'epoca e Vermeer, sta nella luce: i suoi contemporanei la usavano per descrivere minuziosamente l'epidermide delle cose, mentre Vermeer va oltre il dato narrativo e la usa fin anche sui muri intonacati, per suggerire significati altri. 
Nella maturità, contrassegnata dalla sottesa elaborazione dell'arte italiana e fiamminga, l'artista inizia una lunga serie di quadri dove la rappresentazione intima della figura femminile, monumentale come una Madonna, viene ripresa in gesti semplici e domestici privi di importanza. 

Vermeer dimostra un grado di raffinatezza descrittiva sconosciuto alla maggior parte dei suoi contemporanei, ma nelle sue opere l’interesse per la figura femminile rivela virtù e personalità della donna con cui lo spettatore entra presto in empatia

Nella "Lattaia" (1657-58; Rijksmuseum, Amsterdam), l’artista mette a punto una particolare composizione figurativa, detta “ad angolo”, già usata da de Hooch e che tornerà in quasi tutte le sue future tele.  La donna, posta a ridosso della parete di una stanza e illuminata dal bagliore intenso della finestra scorciata, cattura l’osservatore grazie e una prospettiva ravvicinata il cui punto di fuga, viene posto in basso verso sinistra, sopra la mano sollevata della lattaia. In questo modo, l'artista pone lo spettatore seduto in primo piano, davanti alla fanciulla, pronto a coglierne le braccia scoperte, le mani e polsi abbronzati e lo sguardo abbassato con un lieve sorriso. 

La scena, resa ancor più sobria dall’eliminazione di particolari visibili in riflettografia, si svolge nelle dimensioni ridotte del quadro, dove tutto appare quotidiano e naturale, ma nello stesso tempo, monumentale e perenne, fuori dal tempo e dallo spazio

Montanari chiude la prima puntata con due opere emblematiche dell'artista, la "Ragazza con cappello rosso" (1665; National Gallery, Art, Washington) e "La ragazza con l'orecchino di perla" (1665-67; Mauritshuis, L'Aia), la cui bellezza misteriosa non rimanda a un vero ritratto, ma a "tronie", come gli artisti olandesi definivano le mezze figure in costumi storici o esotici, realizzate per studiare i tratti, le espressioni e gli stati d'animo umani. 
"La Ragazza con l’orecchino di perla", detta anche la "Gioconda del nord", è uno dei quadri più famosi dell’artista sul quale si è detto e scritto tutto. Vermeer guarda la ragazza, posta di fronte alla luce naturale della finestra del suo atelier, mentre lentamente volge il capo di tre quarti con espressione estatica, lo sguardo ammaliante e le labbra socchiuse cariche di innocente sensualità.  Il turbante alla turca, realizzato con due sciarpe di seta delle indie, nei tipici colori dell’artista, il giallo e il blu, l'orecchino con perla di grandi dimensioni, appaiono elementi improbabile al tempo di Vermeer, dato che seta e perle erano prerogativa delle dame dell'alta borghesia.

Seconda Puntata
Il dentro e il fuori

Nell'Olanda del Secolo d’Oro, moltissimi artisti iniziarono a rappresentare gli affetti familiari con insistenza tanto che, gli stranieri in visita, attribuivano a questo popolo un grado di attenzione alla prole inconsueto per i costumi europei dell'epoca.
Inoltre, nella cultura del Nord Europa, priva di Accademie d'Arte, di letteratura artistica sulla qualità pittorica, come di tradizione italiana del Cinque e Seicento e soprattutto, di una committenza ufficiale, nobile ed ecclesiastica, i pittori per vivere dovevano spesso fare altri lavori: era questo anche il caso di Vermeer che, malgrado ereditava la locanda dal padre con i suoi commerci, passò la vita in cerca di denaro.

Tuttavia per gli olandesi la pittura era importantissima, i pittori erano una folla e c'era molta concorrenza per giungere con la propria opera ad arredare le case di privati cittadini 

Uno dei principali mecenati di Vermeer fu Pieter van Ruijven (1624-1674) e la moglie che, ogni anno, compravano un solo quadro dell'artista, dati i lunghi tempi di lavorazione delle sue opere. 
Nel 1657, van Ruijven prestava all'artista la somma importante di duecento fiorini, ma il nome del mecenate rimane strettamente legato ai ventuno dipinti di Vermeer, ereditati dalla figlia del collezionista, finiti all'asta di Amsterdam nel 1695, la gran parte usciti dal suo atelier.

Montanari prosegue il racconto su Vermeer e in mancanza di documenti certi sull'artista, immagina il suo processo creativo guardando ed analizzando una serie di quadri d’interni dove, la chiave di lettura, è proprio il rapporto tra "il dentro e fuori" 

"Donna che legge una lettera" (1657-'59; Gemäldegalerie, Dresda), non rappresenta nulla di più che non sia detto nel titolo: una giovane donna di fronte alla finestra aperta, legge una lettera, presumibilmente, appena ricevuta.
In un primo tempo, Vermeer aveva dipinto sul muro un quadro di "Cupido", fornendo così un indizio sulla natura della lettera: Una missiva d'amore ? 
Lo splendido tappeto turco e il prezioso piatto di porcellana cinese colmo di frutta, in primo piano sul tavolo, potrebbero alludere al misterioso mittente, marito o amante, in viaggio intorno al globo con la potente Compagnia delle Indie Orientali.
La tenda verde tirata alla destra del quadro, oltre a ricordare l'usanza seicentesca di nascondere le opere da luce e polvere, potrebbe alludere alla gara tra i due pittori greci Zeusi e Parrasio. 

Plinio il Vecchio raccontò che Zeusi aveva dipinto dei grappoli d'uva così realistici che sulla scena accorsero gli uccelli a beccarla e che Parrasio, di contro, dipinse una tenda finta così veritiera, che il collega tentò di aprirla per vedere il quadro 

Anche la frutta con la tenda dunque, alludono alla magia della pittura, tuttavia, ricorda Montanari, tutto ciò "possiamo continuare a supporlo, ma senza alcuna certezza".
Proseguendo il racconto sulla cronologia delle opere di Vermeer, Montanari illustra le uniche due scene di esterni realizzate dall'artista, la "Veduta di Delft" (1661-'63; Mauritshuis, L'Aia) e "La Stradina" (1658; Rijksmuseum, Amsterdam), entrambe firmate e presenti nell'asta di Amsterdam del 1696, fatto che fa supporre fossero state commissionate da van Ruijven.
Probabilmente, nella "Stradina", la tipica casa olandese oggetto del dipinto, venne abbattuta per erigere la Gilda di San Luca nel 1661 (oggi l'edificio ospita il Centro Vermeer), pertanto, non si esclude che l'artista scelse proprio questo scorcio destinato a scomparire. 

Più che una rappresentazione realistica dell'architettura cittadina, al pittore interessava immortalare la tranquilla quotidianità di un giorno qualunque

La scopa appoggiata alla parete, il rivolo d'acqua saponata, la calce bianca sul muro a contrasto con i mattoni rossi consunti, le due donne intente a pulire, i bambini che giocano a terra sotto una panca, tutto suggerisce un'atmosfera sospesa e una sottile poesia che differenzia Vermeer dai colleghi come de Hooch, con il quale condivise soggetti simili.
L'equilibrio compositivo dei diversi elementi che compongono la tela e il punto di vista dall'alto, sono elementi di estrema modernità a cui concorre anche la fattura pittorica delle nuvole velate e la presenza, in alcune parti, come l'edera rampicante, di piccole pennellate puntiformi dense di luce. 
La modernità di Vermeer giunge all'apice con la "Veduta di Delft", l'opera che diede inizio alla riscoperta del pittore per la profonda adesione sentimentale che ha suscitato nei secoli a venire e che qui, Montanari considera un fondamento dell'Impressionismo
Dipinto all'indomani della ricostruzione di Delft, dopo la catastrofica esplosione di una polveriera che aveva distrutto in parte la città e causato molti morti, nel dipinto il campanile della Nieuwe Kerk appare ancora sprovvisto di campane. La veduta fu ripresa dal secondo piano di una casa, sicuramente con l'auto di una camera oscura, dispositivo ottico di precisione molto usato dai pittori olandesi.

La "Veduta di Delft" restituisce la cittadina in quegli anni, con edifici riconoscibili, ma il fatto più straordinario di questo dipinto che Longhi definì, "natura morta di città" e che Proust utilizzò per una pagina della sua "Recherche", è data dalla luce che modifica i colori infondendo un'anima di silenziosa dignità del reale, unica nella pittura di Vermeer 

Negli interni di Vermeer la finestra è sempre presente o sottesa. In "Giovane donna con brocca d'acqua" (1662; Metropolitan Museum of Art, New York), l'umile figura in panni olandesi, sicuramente una domestica con il capo velato, la sta aprendo. Ma ciò che attrae maggiormente della semplice composizione, è la resa del volume della donna, il volto chino di un ovale perfetto per il quale, il grande poeta Giuseppe Ungaretti, autore dell'introduzione di Vermeer nei Classici Rizzoli (1969), scrisse di una somiglianza con la "Madonna di Senigallia" di Piero della Francesca (1412-1492), una suggestione attendibile, seppur l’artista stanziale non mise mai piede in Italia. Eccelsa la resa luminosa e gli effetti epidermici delle cose: il soffice tappeto, la trasparenza semiopaca del vetro, il lustro del metallo della brocca e bacile che riflette il tessuto sul tavolo, il cofanetto aperto da cui sporge un filo di perle e la carta geografica delle Diciassette Province appesa al muro, anch’esso, bagnato di luce pulviscolare. La scena, dominata dai toni del giallo e dell'azzurro, spicca per la vivace nota rossa di contrasto della tovaglia. 
Degli stessi anni, "Donna con la collana di perle" (1663-'64; Gemäldegalerie, Berlino), dipinto firmato e appartenuto a van Ruijven, dato che era presente all'asta del 1696. Variante della "Donna con brocca" o con "lettera", anche qui Vermeer elimina dal muro una grande carta geografica per rendere la scene più essenziale. 

L'elegante profilo leggermente sorridente, esprime la soddisfazione dell'agiata signora benestante, una purezza intima, simboleggiata dalle perle, che la distanzia dalle severe lattaie o dalle domestiche presenti in altre opere del pittore

"Lezione di musica" (1662; St. James's Palace, Londra), altro Vermeer presente all'asta del 1696, è un'allegoria di corteggiamento amoroso, simboleggiato dalla viola da gamba poggiata a terra, che lascia immaginare un futuro seguito tra i due protagonisti del dipinto. 
La scena inquadra un uomo e una donna sul fondo della stanza, scorciata con maestria dalla scacchiera marmorea del pavimento e illuminata, a sinistra, da due grandi finestre con vetri piombati. In primo piano, a destra, presenta un tavolo coperto da un pesante tappeto persiano su cui poggiano un vassoio metallico e una brocca di ceramica bianca. Nel mezzo della scena, una sedia in tralice foderata di velluto azzurro crea una vivace macchia di colore. Sono tutti oggetti di casa Vermeer riproposti anche in altre opere dell'artista, assieme ai molti dipinti appesi alle pareti e appartenuti alla suocera, come in questo caso, affianco allo specchio, una mezza figura, forse una "Carità romana", sulla cui cornice appare la firma dell'artista. 
Qui, l'elemento più moderno è lo specchio che restituisce il volto della giovane assieme al cavalletto del pittore, un gioco di sguardi tipicamente Barocco, già proposto in "Las Meninas" (1656) dello spagnolo Velázquez. 
Il tema del "pittore nello studio" proposto in un curioso quadro di Rembrandt del 1629, viene più volte elaborato anche da Velázquez e Vermeer, denunciando il dispositivo ottico dello specchio attraverso il quale, il pittore entra nell'opera.

Subito dopo la metà del Seicento, mentre il Secolo d'Oro olandese raggiungeva il suo apice, nel 1675, Luigi XIV invadeva le ricche Province Unite che, pur respingendo l'invasione, si avviavano ad un lento declino economico 

"L’Astronomo" (1668; Museo del Louvre, Parigi), tela quadrangolare firmata e datata 1668, è un interno illuminato dalla luce del giorno con protagonista uno studioso. Caso unico nel catalogo di Vermeer, l'opera fu dipinta en pendant con "Il Geografo" (1668-'69; Städel, Francoforte), probabilmente per qualche ricco commerciate delle Compagnie marittime olandesi. All'epoca, astronomia e geografia rappresentavano due branchie del sapere scientifico fondamentali per la misurazione del tempo e dello spazio, soprattutto in mare (Scienza, tempo e spazio). Nulla faceva ancora presagire l'imminente invasione francese e la conseguente crisi dell’Olanda i cui commerci in terre lontane assicuravano agii e ricchezza all'intera comunità. Il Geografo, come l'Astronomo, sono immersi nei pensieri e Vermeer ne coglie l'attitudine mentale: il primo, lancia lo sguardo fuori dalla finestra, il secondo sul globo, mentre alle spalle, un quadro di tradizione italiana sul "Ritrovamento di Mosè", introduce la sacralità della figura dello studioso, paragonato al patriarca biblico che guidava il suo  popolo.

Terza puntata
Cartografia d’amore

Montanari racconta che quattordici quadri di Vermeer, su trentasei, quasi la metà della sua produzione, sono oggi tesoro degli Stati Uniti tra cui, cinque si trovano nella sola New York. Un segno del legame profondo tra la piccola Olanda e la metropoli americana che, non a caso, nasce all’inizio del Seicento col nome di Nuova Amsterdam.
Vermeer, pittore amato nel Novecento, appariva "moderno" per i suoi "silenzi" e la sua astrazione che lo avvicinavano alle scene di sentimento struggente e poetico di Edward Hopper (1882-1967).

Molte opere di Vermeer sono dedicate alla relazione della donna con l'uomo, qualcosa che Montanari definisce una “cartografia d’amore” dove, scrittura, musica, meditazione, lavoro silenzioso e paziente, parlano dei sentimenti femminili con l’altro sesso

"Ragazza assopita" (1657; Metropolitan Museum of Art, New York), dipinto giovanile presente all'asta del 1696, presenta una donna monumentale delle guance rosse, forse una domestica che ha bevuto. Tra gli attrezzi di scena posti sul tavolo, oltre al bicchiere e alla brocca, un secondo calice riverso sul tovaglia lascia intendere che qualcuno è appena andato via, lasciando la sedia spostata e la porta aperta. Dalle radiografie infatti, è emerso un uomo sulla porta che poi il pittore decise di togliere per lasciare allo spettatore la conclusione. Sulla parete, il quadro di un "Cupido con maschera", indica il gioco d'amore. 
Altra allegoria di "Venere e Marte", il "Soldato con ragazza sorridente" (1658; Frick Collection, New York), forse l'opera per la quale van Ruijven, nel 1657, prestava a Vermeer duecento fiorini come pagamento anticipato per alcuni dipinti eseguiti negli anni seguenti. 
Il piccolo quadro mostra il corteggiamento di un soldato e una donna; lui quasi di spalle, veste un grande cappello a tesa larga, un cappotto militare rosso con una cinghia trasversale e ampi polsini a sbuffo, messi in risalto dal gomito che esce verso lo spettatore.

La ragazza, ben abbigliata con un vestito da ricca borghese, appare sorridente con la brocca di vino in mano e alle spalle, l’usuale cartina geografica delle Province Unite olandesi 

L’opera, è preceduta da "La mezzana" (1656; Gemäldegalerie Alte Meister, Dresda), un dipinto molto anomalo di Vermeer, dove il giovane, ancora dipendente della scene caravaggesche della Scuola di Utrecht, piene di osterie e taverne, utilizzava la tipica figura della "mezzana" per alludere ad atteggiamenti promiscui di prostituzione. 
La scena, impostata sulle tonalità calde del rosso e del bruno, accese dal giallo e dal bianco indossati dalla donna, mostra quattro personaggi al tavolo coperto da un pesante tappeto orientale di lana. A sinistra, un musicista, forse un autoritratto del pittore, guarda lo spettatore impugnando lo strumento e il bicchiere. A destra, un giovane porge una moneta in mano a una donna che con una mano regge un calice di vino e con l'altra, prende il denaro per lasciarsi toccare il seno. Un’altra signora anziana, velata di nero, assiste compiaciuta alla scena: è la "mezzana", ovvero, la procuratrice dell'incontro.
Meno esplicita, ma sempre sul tema del corteggiamento, "Il bicchiere di vino" (1659-'60; Gemäldegalerie, Berlino), mostra una scena ambientata “ad angolo”, in un interno borghese, davanti a una finestra aperta con stemma identificativo di una famiglia dell'epoca. 

A differenza degli altri pittori del suo tempo, Vermeer inscenava un intenso gioco psicologico tra i protagonisti, evidenziandone stati d'animo ed emozioni, come in questo caso dove appare il solo volto del corteggiatore 

La donna infatti, presa dal gesto del bere, nasconde il viso in una posa chiusa, a differenza dell'uomo che, con lo sguardo e il corpo aperto è proiettato con forza verso la donna. Sulla sedia, lo strumento musicale e gli spartiti indicano che coppia deve ancora iniziare a “suonare”. 
Ancora un momento di seduzione in "Due gentiluomini e una fanciulla con bicchiere di vino" (1659-'60; Herzog Anton Ulrich Museum, Brunswick), dipinto presente nell'asta del 1696, firmato nella finestra dove torna lo stesso stemma del "Bicchiere di vino", dedicato alla Temperanza e dunque alla moderazione dei costumi. 

In una scena di triangolo amoroso, la ragazza ben vestita, sorride compiaciuta allo spettatore, mentre un uomo la invita a bere un bicchiere di vino e un altro appare addormento, “fuori gioco”, sullo sfondo. Il frutto sbucciato sulla tavola indica che il gioco delle passioni è già stato consumato 

Stessa atmosfera di corteggiamento in "Concerto interrotto" (1660; Frick Collection, New York), dove la donna guarda lo spettatore con alle spalle un Cupido. 
"Donna che scrive una lettera" (1665-'67, National Gallery of Art, Washington), quadro piccolissimo, presente all'asta del 1696, appartiene già alla maturità di Vermeer, come si evince dall'essenzialità e dall'ampio respiro nel trattamento di luce e colore. 

Anche in questo caso, non si tratta di un ritratto di signora olandese, ma di una scena intima e di silenzio, dove la protagonista vestita di un sontuoso abito giallo bordato di ermellino, volge lo sguardo allo spettatore quasi fosse interrotta nello scrivere 

Il motivo della scrittura, tema è frequente nell'arte olandese del periodo, fu trattato da Vermeer in altri dipinti, tra cui "Fantesca che porge una lettera alla signora" (1667; Frick Collection, New York), dove Vermeer, a differenza dei colleghi, spoglia l'ambiente di qualsiasi riferimento esplicito, concentrandosi sull'atmosfera emotiva.
La scena si svolge su uno fondo scuro, nessuna finestra; il tavolo, lo scrigno e la donna con la stessa preziosa casacca gialla, rappresentano una variante di altri quadri. 
Un proseguimento di questa scena, potrebbe essere "La lettera d'amore" (1569-'70; Rijksmuseum, Amsterdam), dove la stessa donna seduta con il medesimo abito giallo, guarda la domestica in piedi alle sue spalle che, con un cenno del viso, la riassicura sulla missiva. Alle pareti, due quadri: una marina, indica il viaggio e un paesaggio arcadico la solitudine dell'innamorato.

La scena viene inquadrata da una porta chiusa in alto con un tendaggio rialzato, a mostrare la quotidianità di attrezzi domestici, come lo spazzolone e gli zoccoli a terra

"Donna che scrive una lettera alla presenza della domestica" (1670-'71; National Gallery of Ireland, Dublino), quadro firmato, ripropone la medesima scena ad angolo con le due donne, la signora e l'inserviente. Ma in questa caso, spicca il grande quadro appeso alla parete, un "Mosè salvato dalle acque" che potrebbe alludere ad un aiuto per mano di un gruppo di donne. 
"La ricamatrice" (1669-'70; Museo del Louvre, Parigi), opera che tanto piacque a Luis Buñuel e Salvador Dalí, è una tela molto piccola, ma dall'affetto monumentale, appartenuta anch'essa a van Ruijven. 
La luce morbida illumina la fronte e le dita a sottolineare la precisione e la chiarezza di visione necessaria per l'arte del merletto: i capelli e le mani sono inondati di luce che, a differenza della maggior parte delle opere di Vermeer, entra da destra e non da sinistra. L'ambientazione ridotta al minimo, la visione in primo piano e il taglio che Vermeer conferisce alla scena con lo spigolo del tavolo e il cuscino da ricamo colmo di fili rossi e bianchi in primo piano, conduce l'attenzione dello spettatore fin dentro la concentrazione dell'umile figura.

Il colore psicologicamente intenso del giallo della veste della ragazza e la sua scomoda postura, riflettono la condizione fisica e mentale della ricamatrice e forse, Vermeer allude anche al suo lavoro di pittore 

"La ricamatrice" rappresenta un chiaro esempio dell'utilizzo dei principi dell'ottica da parte di Vermeer che qui scansiona il primo piano e quella medio, aiutandosi con gli strumenti ottici molto in voga presso i pittori olandesi. La moderna profondità di campo è visibile dal groviglio di fili rossi e nappe del cuscino sfocati in primo piano con effetti di pennello pointillé, fino alla ragazza e ai fili da lavoro resi perfettamente a fuoco nel piano medio. 

Quarta puntata
Con altri sensi

Nella quarta puntata Montanari affronta l'aspetto più originale e moderno della pittura di Vermeer: la capacità di inscenare la vita quotidiana attraverso composizioni "infallibili" da un punto di vista spaziale, unito ad un senso del colore e della luce "armonizzati", due caratteristiche rare tra i pittori olandesi del suo tempo. 

Mediante lo spazio e il colore Vermeer sonda le illimitate capacità della pittura di attivare tutti i sensi e di rendere così le sue composizioni "musicali", non solo quelle dedicate specificatamente alla musica

La profondità dell'approccio ai pennelli da parte di Vermeer, qualche secolo dopo mandava in estasi un altro pittore olandese, Vincent van Gogh (1853-1890) che, nel 1887, scriveva all’amico Émile Bernard (1868-1941): 

Conosci un pittore di nome Jan Vermeer? La tavolozza di questo strano artista comprende l’azzurro, il giallo limone, il grigio perla, il nero e il bianco. È vero che nei quadri che ha dipinto si può trovare l’intera gamma dei colori; ma riunire il giallo limone, l’azzurro spento e il grigio chiaro è in lui caratteristico, come in Velázquez armonizzare il nero, il bianco, il grigio e il rosa … Gli olandesi non avevano immaginazione ma avevano un gusto straordinario e un senso infallibile della composizione

Ritrovare nella tradizione della sua terra un pittore che faceva uso libero dei colori, per van Gogh fu una vera e propria scoperta fatta, quasi di sicuro, dentro i musei di Amsterdam e Parigi ("Donna in azzurro che legge una lettera", 1663; "La lattaia", 1657-'58; Rijksmuseum, Amsterdam). 
L'abbinamento squillante dei due primari, il giallo e il blu, quasi una firma per Vermeer, vennero usati dall'artista soprattutto nei dipinti dedicati alla musica e alla meditazione, come l'allegorica scena di "Donna che pesa l’argento" (1664; National Gallery of Art, Washington.), erroneamente detta, "Pesatrice di perle". La piccola tela, appartenuta van Ruijven, mostra una donna pensosa intenta a pesare, con un bilancino, l'argento delle monete.

Davanti a lei, uno specchio alla parete e sul tavolo un drappo blu che riprende il colore della mantella e contrasta con il giallo del vestito e della tenda scostata 

La luce barocca, direzionata sul volto della donna, richiama l'allegoria della Giustizia, al bivio tra due decisioni. Sulla parete di fondo, un "Giudizio universale" allude al tema della Temperanza, ossia la necessità di soppesare le azioni. Il dipinto moraleggiante incita a coltivare lo spirito e non i beni terreni, al fine di conservare un'anima candida e pura, come simboleggiano le perle sul tavolo e lo specchio che allude alla coscienza di sé e richiama gli “Esercizi spirituali” di Sant'Ignazio di Loyola.
Lo stesso clima di meditazione, viene proposto in "Donna in blu che legge una lettera" (1663; Rijksmuseum, Amsterdam), quadro al quale si riferiva van Gogh, dove gli accordi cromatici, giocati sull'azzurro e il giallo ocra, sparsi anche nelle ombre sulla parete dai toni bluastri, dimostrano l'accuratissimo studio ottico e l'equilibrio perfetto tra ambiente e figura. 

Raffinatezze tecniche e psicologiche di cui è capace solo Vermeer che, con pochi oggetti di scena, tra cui le perle sul tavolo, la cartina geografica sul muro e una finestra che non c'è, ma si intuisce, restituisce l'idea di un messaggio che tocca il cuore della donna per l'uomo lontano 

Negli ultimi anni di vita, Vermeer attivava "gli altri sensi" dedicandosi alla sua amata musica, arte che riportava nelle sue opere per conferire valore simbolico e concettuale. In "Suonatrice di liuto" (1664; Metropolitan Museum of Art, New York), quadro firmato, purtroppo molto danneggiato, la geometria compositiva anticipa l'astrazione di Piet Mondrian (1872-1944).
La solita scena “ad angolo”, inquadra una giovane suonatrice di liuto che accorda lo strumento rivolgendo lo sguardo alla finestra da cui entra la luce, oltre la tenda azzurra scostata. 
La ragazza, forse la moglie di Vermeer, indossa la mantella di seta gialla bordata di pelliccia che l'artista aveva già usato in altri dipinti e che, dagli inventari, possedeva. 

Notevole la resa psicologica nel catturare l'espressione della giovane donna: il volgersi verso qualcuno che sta arrivando da fuori, forse l'amato in viaggio, data la carta geografica dell'Europa alla parete, la incita a prepararsi all'incontro con un accordo mite, ma rigoroso come l'infallibile composizione

Isabella Stewart Gardner, filantropa newyorkese stabilita a Boston, grazie allo storico dell’arte e conoscitore Bernard Berenson (1865-1959), aveva acquistato in Europa parte della sua ricca collezione d'arte, tra cui figuravano Simone Martini e Giotto. Nel 1892, senza farsi consigliare da nessuno, comprava presso la collezione di Thoré-Burger, "Concerto a tre" (1666-'67; trafugato dall'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston), opera rubata nel 1990, assieme ad altre quattro mai ritrovate. All'epoca, "Concerto a tre" era esposto nella Sala degli olandesi della sua casa, futuro museo; in ossequio ai desideri della collezionista, che volle tutto fosse lasciato come lei aveva predisposto, la sala che ospitava le tele rubate, oggi espone le sole cornici vuote.

Concerto a tre", ambientato nel consueto interno domestico illuminato da sinistra, presenta una composizione simile a "Lezione di musica", ma sviluppata in maniera più complessa

Scompare la finestra dalla quale si percepisce il taglio di luce che cade sui tre personaggi coinvolti: una donna di profilo seduta al clavicembalo, un uomo di spalle e di corporatura robusta seduto su una sedia in tralice e una donna in piedi che sembra cantare reggendo in mano un foglio di spartito. L'abbigliamento elegante e ricercato, il pavimento a scacchi in prospettiva, la viola da gamba appoggiata a terra in penombra, il tavolo in primo piano con un tappeto che copre in parte uno strumento ad arco, sono elementi ricorrenti, come i due quadri esposti alle pareti il cui paesaggio si accorda con quello dipinto sul lato interno del coperchio del clavicembalo. 
Ancora una volta, il “quadro nel quadro” cela il significato del dipinto: un paesaggio boscoso nello stile del grande contemporaneo Jacob van Ruisdael (1628-1682) e "La Mezzana" (1622) di van Baburen, riprodotto anche nella "Donna seduta alla spinetta". 
“La Mezzana”, a cui Vermeer aveva fatto omaggio in un 'opera giovanile del 1656, era documentato nell'inventario dei beni dell'artista stilato alla sua morte e non è inverosimile, che anche il paesaggio di Ruisdael appartenesse a lui o a un pittore della sua cerchia. Tra le tante letture allegoriche dell'opera, spicca il tema dell'amore declinato nelle diverse note che vanno dal rapporto carnale e fisico della "Mezzana", a quello idilliaco e pastorale cui rimandano i due paesaggi.
Le due opere concepite en pendant, "Ragazza in piedi al virginale" (1672) e "Ragazza seduta al virginale" (1675), furono riunite nella collezione di Thoré-Bürger, tra i primi studiosi di Vermeer e poi acquistate dalla National Gallery di Londra nel 1892. 

I due dipinti, paragonabili "ai due lati della stessa medaglia", precisa Montanari, rappresentano due allegorie sul carattere della donna; la prima, dallo sguardo timido e in piena luce diurna, simboleggia la fedeltà amorosa, mentre la seconda, dall'espressione disinibita e illuminata frontalmente, la libertà di costume

Come già visto finora, i due soggetti sono inquadrati “ad angolo” dentro una ricca abitazione di Delft, come deducibile dal pavimento a piastrelle di marmo bianco e nero, dal battiscopa in ceramica bianca e azzurra di Delft e soprattutto, dai dipinti appesi alla parete, in parte riconducibili a opere di artisti olandesi contemporanei a Vermeer. 
La "Ragazza in piedi al virginale", ha nello sfondo un quadro di “Cupido”, mentre quella "seduta", presenta "La Mezzana" di Baburen e una viola da gamba in primo piano, poggiata a terra e in parte tagliata fuori dall'inquadratura, ad intendere l'arrivo dell'amante, quando la tenda scostata, tornerà a coprire l'intimità dell'incontro. 

Rispetto ai dipinti degli anni Sessanta, ora Vermeer utilizza una luce cristallina più fredda, anziché soffusa, per delineare i bordi degli oggetti con maggior precisione 

Inoltre, negli ultimi anni di vita l’artista aveva imparato ad alternare diversi tipi di pennellata per ottenere vari effetti di profondità, ricerca iniziata con la “Merlettaia”. Dalle piccole gocce di bianco che accendono di luce i dettagli, alle sfumature più delicate, Vermeer arrivava alle pennellate pastose di colore, per creare vere e proprie macchie di ombre e chiarori.
Convertito al cattolicesimo, Vermeer venne battezzato nella Nieuwe Kerk di Delft, a pochi passi dove abitava con la moglie, nella zona detta "l'angolo dei papisti". 
Per quel terzo di cristiani presenti a Delft, a cui Vermeer apparteneva, all'epoca era usuale assistere alle "messe nascoste" nelle stanze della propria abitazione.
In "Allegoria della fede cattolica" (1670-'72; Metropolitan Museum of Art, New York), Vermeer rappresentata la visione domestica di un'eucarestia in corso, con la tenda aperta che inquadra la scena nella sua abitazione privata. 
Presente all'asta del 1696, l'allegoria rappresenta anche una riflessione di Vermeer sulla sua condizione di cristiano. Secondo alcuni critici, l'opera rivela un certo impaccio nella composizione dovuto alla minore dimestichezza dell’artista con i temi sacri e allegorici di ispirazione classica, anche se rimane innegabile la raffinatissima esecuzione dei dettagli e la straordinaria resa luminosa, in grado di gareggiare con la nuova "pittura fine" in voga ad Amsterdam e Leida.
La scena è ambientata in un angolo della sua casa e i molti oggetti che la compongono, sono ripresi dall'Iconologia (1611) di Cesare Ripa, libro tradotto nei Paesi Bassi nel 1644, che Vermeer reinterpreta liberamente combinando alcuni passi anche con gli "Esercizi spirituali" di Loyola.

L'artista non aveva mai dipinto una donna in tale atteggiamento teatrale, largamente diffusa nella cultura del Barocco italiano e qui attinta dal testo di Cesare Ripa

La figura della Fede, un abito bianco e blu, simboli di Purezza e Paradiso, con un piede sul mappamondo, emblema di universalità, sta accanto ad un altare su cui poggia un messale romano aperto, una tovaglia, un crocifisso e un calice, tutti oggetti di culto cattolico che l'artista aveva in casa. 
La Fede, volge lo sguardo estatico verso una sfera di vetro appesa nel soffitto, un elemento di difficile decifrazione, ma che nel riflettere parzialmente la stanza, potrebbe indicare l'incapacità della mente razionale di cogliere a fondo il mistero del tutto e del divino. 
Lo sfondo è occupato da una grande pala della "Crocifissione" (Musée des Beaux-Arts di Rennes), un'opera riconosciuta del belga Jacob Jordaens (1593-1678). In basso, un serpente sanguinante per la testa schiacciata da una pietra quadrangolare, riferimento alla chiesa di Cristo, e poco vicino, la mela morsa di Adamo ed Eva. 

Infine, per i cattolici come Vermeer, questa "Allegoria" rappresentava anche la distruzione dell'eresia protestante, dato che all'epoca erano in corso discriminazioni e pressioni continue da parte dei luterani

Il 15 dicembre del 1675, Vermeer muore di afflizione e il pittore viene sepolto nella Chiesa di Delft. 
Dopo la morte del marito, la moglie Catharina farà di tutto per sfamare gli undici figli, resistendo fino all'ultimo nella vendita delle opere che il marito amava e aveva tenuto per sé nello studio di casa. 
Tuttavia, anche il testamento spirituale dell’artista, che Vermeer aveva dipinto per sé e nota con più titoli, da "Lo studio del pittore", a "L'arte della pittura", o anche “Allegoria della pittura" (1662-'68; Kunsthistorisches Museum, Vienna), come nominato all’epoca dalla moglie, verrà venduto all'asta del 1696. Della tela, se ne parlava già un anno dopo la morte dell'artista quando la vedova, ossessionata dai debitori, per non perdere il quadro favorito del marito lo aveva ceduto alla madre Maria Thins. Nel 1938, "L'arte della pittura" entrava nelle proprietà di Adolf Hitler e solo nel 1946, passava al museo viennese dove tutt’ora conservato.
La grande tela quadrangolare di oltre un metro, mostra un pittore e la sua musa, pertanto anche il titolo “Atelier”, a detta di Montanari, sintetizza l’intento dell’artista. Qui Vermeer rappresenta sé stesso al cavalletto e di spalle, mentre ritrae una fanciulla con in mano un libro e una tromba, simboli rispettivamente, della Storia e della Gloria e rimandi alla musa Clio, con in testa un serto di alloro. 

Il pittore, che già sta schizzando la corona della ragazza, è vestito con un elegante abito nero, un capo costoso e di moda, visibile anche in un noto autoritratto di Rubens e la moglie

La stanza, illuminata da sinistra per mezzo di una finestra nascosta da una tenda scostata in primo piano, è descritta con estrema cura. Il drappo istoriato, lo stesso di “Allegoria della Fede cattolica”, rivela un ambiente scorciato in prospettiva, con il pavimento piastrellato che denota la padronanza spaziale di Vermeer. A sinistra, un baule borchiato in penombra e un tavolo sul quale ricadono due sciarpe di seta, rigorosamente giallo e blu, un calco di statua antica ad indicare la tradizione artistica italiana e un album da disegno, tutti oggetti in relazione alle Arti liberali, come nell'Iconologia di Cesare Ripa.
Sulla parete di fondo, una grande cartina geografica delle Diciassette Province, oggetto di casa Vermeer, presenta un brano notevole di trattamento della luce che vibra creando lievi increspature della carta. Straordinario, da questo punto di vista, anche il lampadario metallico appeso al soffitto, in cui è evidente l'eredità dei pittori fiamminghi, in primis Jan van Eyck (1390-1441) e il suo celebre “Ritratto dei coniugi Arnolfini” (1434) dove riproduce un oggetto simile. 
L’opera quattrocentesca inoltre, forse rappresenta anche il primo dipinto dove appare il dispositivo dello specchio, per cui l’artista entra nel quadro, come succedeva nel celebre "Las Meninas" (1656) di Velàzquez, negli anni di Vermeer. 
Tuttavia, ancora una volta, in questa tipica “macchina pittorica” barocca, Vermeer nega il suo sguardo e idealmente, si pone nello stesso punto di vista dello spettatore.
Montanari chiude la serie su Vermeer con una citazione poetica che richiama la figura di un pittore contemporaneo dell’artista di Delft, Carel Fabritius (1622-1654), morto a soli trentadue anni nell'esplosione di una polveriera che distrusse un quartiere, compreso il suo studio e quasi tutte le sue opere. 
Allievo dotato di Rembrandt ad Amsterdam, trasferito a Delft intorno agli anni Cinquanta, probabilmente Fabritius conobbe Vermeer nella Gilda dei pittori

Alla sua morte, si scrisse che Vermeer "era sorto dalle ceneri di Fabritius" ed è probabile anche la vicinanza di questo pittore più anziano nel giovane artista di Delft 

Nel "Cardellino" (1654; Mauritshius, L’Aia), fa notare Montanari, una piccola tavoletta (33x18cm.), datata e firmata Carel Fabritius, l'uccellino sta nella posizione delle donne di Vermeer, “legate” nelle loro stanze che guardano lo spettatore.
Il soggetto apparentemente banale, allora presente nelle case del tempo per far giocare i bambini, assume la dignità di una grande opera fin dalla firma, eseguita con caratteri di un'iscrizione classica.

Per la prima volta nella pittura olandese, Fabritius propone il “ritratto” di un piccolo uccellino a cui la catenella impedisce di volare, diverso da quelli già presenti all’epoca nelle illustrazioni di testi naturalistici, o negli studi di particolari da inserire in dipinti più grandi 

Fabritius infatti, non lascia spazio ai dettagli “alla Dürer”, ma adotta una pittura sintetica e attenta alla realtà, che restituisce con rapide pennellate l'immagine dell'uccellino domestico. 
Gli effetti di luce, i piccoli e brillanti tocchi di colore, la mascherina rossa del capo e la striscia gialla dell'ala e soprattutto, il sapiente uso della prospettiva, conferisce all’immagine, vista da sotto in su, l'effetto di un quadro finito. L’affettuosa e partecipe rappresentazione di Fabritius, vien resa più veritiera dall'ombra sfumata e proiettata sulla parete, nonché dai riflessi luminosi del trespolo in legno, mentre il cardellino, spicca su quel candido muro un po' sbrecciato, simile agli sfondi di Vermeer di cui Fabritius, secondo i critici, sarebbe stato se non il maestro, almeno il precursore.

I silenzi di Vermeer, di Tomaso Montanari, regia di Luca Criscenti, fotografia di Francesco lo Gullo, produzione Land Comunicazioni, 4 puntate x 58 minuti, 2019, Italia

FOTO DI COPERTINA 
Dettaglio di "La Lattaia", Jan Vermeer, 1957-’58, olio su tela, 45,4x40,6cm., Rijksmuseum, Amsterdam