Juvarra, "Villa della Regina" e la cineseria

Passepartout, 2006

Nel primo Seicento nasce “la vigna”, residenza della corona sabauda posta in collina su un terreno di vigneti.
Dimora preferita di molte consorti della casata, “la vigna” era stata voluta dal principe cardinale Maurizio di Savoia (1593-1657), ambasciatore presso la Santa Sede che rinunciò ai voti per sposare la giovane Ludovica. Nel 1657 la moglie amplia la tenuta con fabbricati e giardini, aggiornando anche decorazioni e arredi di interno. 
Il complesso di villa e giardino prendeva spunti dalle Ville romane sorte nella campagna di Frascati tra Cinque e Seicento. La “Vigna” era stata affidata ad architetti importanti, urbanisti ed esperti di ingegneria militare che lavorarono per i Duchi di Savoia: Ascanio Vitozzi (1539-1615) iniziò i lavori e dopo di lui, Carlo (1560–1640) e Amedeo di Castellamonte (1613–1683), la ultimarono. In particolare, la storia di queste due apprezzabili figure di padre e figlio è strettamente legata a quella degli Stati sabaudi del Seicento (Torino. Dai Castellamonte a Guarini). Furono Carlo e Amedeo a lasciare la prima importante impronta nel territorio e sempre loro, a creare “la corona di Delizie”, ossia le residenze sabaude intorno a Torino di cui “la Vigna” era parte. 

Il Belvedere, giardino di Villa della Regina, Torino

Nel 1692 “la Vigna”, all’epoca detta “Villa Ludovica”, viene ereditata dalla duchessa francese Anna Maria d'Orléans (1669–1728) che, a quindici anni, era andata in moglie a Vittorio Amedeo II (1666–1732), allora Duca di Savoia e futuro Re di Sicilia. Nel 1713, quando in Duca, detto la “Volpe Savoiarda”, diventa Re e sigilla il titolo dei Savoia, “la Vigna” prende il nome di “Villa della Regina” e Anna Maria d'Orléans chiama a ristrutturare il complesso il primo Architetto di corte già attivo a Torino, Filippo Juvarra (1678-1736). 
Juvarra interveniva con grande rispetto su un insieme di villa, giardino e orti agricoli, progettato secondo i canoni dell’Arcadia; senza alterare il paesaggio ameno plasmato dai Castellamonte, mette in risalto l’assetto scenografico del posto esaltando così la bellezza e l’armonia della natura che “deliziava” gli svaghi della casata reale. 
Sotto la guida di Juvarra e dopo la sua partenza per Madrid, “Villa della Regina” viene ultimata dall’architetto e allievo Giovanni Pietro Baroni di Tavigliano (1705-1769), che porta a termine una ristrutturazione efficace alle nuove esigenze della sovrana.
Juvarra ridefiniva sia gli spazi interni, sia gli esterni ponendo grande attenzione al rapporto tra edificio e territorio circostante.

Dal giardino, una serie di terrazzamenti concentrici cadenzati da spettacolari fontane e teatri d’acqua scorrevano fin dentro le grotte

Il complesso scenografico era pensato su un’asse ideale che lo attraversava e lo collegava visivamente alla città di Torino, secondo il progetto di Castellamonte. Quest’asse, partiva dal “Belvedere”, in cima all’esedra terrazzata retrostante la villa, passando per il “Salone d’onore” interno, fino al giardino antistante l’edificio. 
Nel giardino Juvarra riammodernò le principali architetture, come il “Belvedere”, il “Padiglione dei Solinghi” e la “Rotonda”, purtroppo rimasta incompiuta. 


Filippo Juvarra, Salone d’onore, Villa della Regina, Torino

Dentro la villa, l'arredo e le decorazioni seicentesche furono sostituite dai pennelli di grandi artisti già coinvolti nei cantieri regi della capitale del regno: Giovan Battista Crosato (1686–1758) e Corrado Giaquinto (1703–1766), esponenti di spicco del Rococò e con loro, Giuseppe Dallamano (1679–1758), quadraturista esperto.
Juvarra intervenne dal “Salone d’onore”, modellato con motivi concavi e convessi, alla ridefinizione del rapporto tra alcune stanze e i giardini; una serie di loggiati, allestiti dal Duca Maurizio, furono trasformati in vestiboli illuminati da grandi finestre. 

Tra i diversi spazi interni, notevoli quattro "Gabinetti Cinesi" decorati con grottesche e raffinato legno laccato e dorato

Nel Settecento italiano, come nel resto d'Europa, la suggestione per la Cina e le cineserie fu di gran moda. Maggiormente influenzati, il Regno di Sardegna, la Repubblica di Venezia, i Ducati di Parma e Piacenza, il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, principalmente Roma. Gli altri stati non assecondarono la moda quasi per nulla: il caso del Regno di Napoli fu uno di questi, anche se il “Salotto di porcellana” di “Villa Reale” a Portici, oggi rappresenta il massimo esempio di cineseria italiana.
La diffusione della cineseria in Italia, come in Francia e Germania, fu limitata principalmente alle corti ed all'alta aristocrazia curiosa dei nuovi motivi esotici; diversa la situazione nel Nord Europa dove sono le classi borghesi e mercantili a promuoverne il gusto.


Decorazioni “alla chinoise”, appartamento di Sua Maestà, Villa della Regina, Torino

La cineseria piaceva molto a Torino: la casata Savoia, infatti, aveva subito le influenze francesi del primo Settecento con Anna Maria d'Orléans che manteneva sempre strette relazioni con il Regno di Francia.
“Villa della Regina”, ospitava il primo esemplare di cineseria piemontese realizzato verso il 1720 nei dintorni di Torino. L'imitazione della moda, nonostante l'influenza francese, fu dunque abbastanza tarda rispetto al primo periodo Barocco di Francia e Germania (Germania. Barocco, Rococò e cineserie). 

Nelle grottesche che decorano le quattro sale, scimmie, mandarini, ventagli e parasoli, sono elementi decorativi sostitutivi di fauni e nudi di derivazione classica romana

Nel “Gabinetto alla China”, con pannelli e boiseries che simulano soggetti e tecniche di arredi orientale, l’insieme decorativo, è frutto dell’ideazione di Juvarra con l’aiuto di Baroni di Tavigliano e della straordinaria abilità dell’atelier di Pietro Massa (notizie 1721-1760), pittore alla "chinoise” attivo anche a “Palazzo Reale”. 
Alla diffusione della cineseria settecentesca si formarono diversi pittori specializzati nel genere. Filippo Minei (notizie 1721-1727), fu chiamato da Roma da Juvarra per le decorazioni di “Palazzo Reale”, “Villa della Regina” e il “Castello di Rivoli”.
La moda si diffuse anche in città quando Juvarra realizzò a “Palazzo Reale” di Torino una stanza pannellata con sessanta magnifiche tavole laccate acquistate a Roma nel 1732. L'esempio di “Palazzo Reale” fu ripreso nella “Palazzina di Caccia” a Stupinigi ed in residenze della nobiltà di corte torinese.
Nel “Castello di Rivoli”, verso la fine degli anni Ottanta del secolo, il gusto per le cineserie si mischiava con il Neoclassicismo nascente.

FOTO DI COPERTINA
Filippo Juvarra, Salone Centrale, Villa della Regina, Torino