Nicola Pugno. Nanomeccanica e grafene

Un'indagine per potenziare le prestazioni meccaniche

I grandi progressi scientifici e tecnologici degli ultimi decenni hanno rivoluzionato i materiali a nostra disposizione, aprendo le porte al mondo dell’immensamente piccolo. Questo è ricco di straordinarie strutture, più precisamente nanostrutture, che hanno dimensione caratteristica nell’ordine del nanometro (ovvero un miliardesimo di metro). Tra gli esempi oggi attualmente più interessanti ci sono i nanotubi, ovvero cilindri il cui diametro interno va da pochi nanometri a qualche centinaio di nanometri, e i materiali bidimensionali (2D). Questi sono film talmente sottili da essere costituiti da un solo foglio di atomi legati fra loro nel piano. La speciale topologia di questi fogli atomici conferisce loro proprietà eccezionali, mai viste prima. Ad esempio, il grafene, il primo tra i materiali 2D ad essere stato isolato, è costituito da soli atomi di carbonio che si legano fortemente fra loro nel piano, formando una trama esagonale. Studi teorici e sperimentali hanno dimostrato che le forze di legame e questa particolare organizzazione atomica consentono al grafene di avere straordinarie proprietà ottiche, termiche, elettriche e meccaniche.

Facendo riferimento proprio alle proprietà meccaniche e prendendo come termine di paragone un tipico materiale strutturale, come l’acciaio, la resistenza del grafene, ovvero la sua capacità di resistere a forze esterne senza rompersi, è circa 100 volte superiore, mentre la sua rigidezza (rigidità) è circa 50 volte superiore. Una rigidezza così elevata farebbe pensare ad una scarsa capacità di deformazione. Eppure, a dispetto di quello che ci si potrebbe attendere, prendendo spunto dall’esperienza quotidiana, il grafene riesce teoricamente ad allungarsi di un quarto della sua lunghezza, ovvero circa 3 volte quello che può fare un acciaio duttile. Una delle domande a cui adesso stiamo cercando di dare risposta è come poter trasferire queste straordinarie proprietà dalla nanoscala a materiali e strutture macroscopiche, che quindi si possano effettivamente adoperare. Una delle possibili strategie che stiamo perseguendo è quella di inglobare fiocchi di nanotubi o grafene in matrici di altro materiale, ad esempio plastico, per realizzare dei nanocompositi. L’idea alla base è semplice, ovvero rinforzare il materiale ospite, la matrice appunto, mediante l’inserimento al suo interno di nanomateriali,  progettando il composito con sofisticati approcci teorici e numerici.