Francesco Borromini, una biografia

Da Bissone a Roma

Nel filmato (Emporio Daverio, 2013), Philippe Daverio visita Bissone, amena località Svizzera del Canton Ticino sul lago di Lugano dove, in una piccola e anonima casa è nato l'architetto barocco Francesco Castelli, noto come Borromini (1599-1667).

Francesco Borromini, fu uomo di grande e bello aspetto, di grosse e robuste membra, di forte animo e d'alti e nobili concetti. Fu sobrio nel cibarsi e visse castamente. Stimò molto l'arte sua, per amor della quale non perdonò a fatica
Filippo Baldinucci 

Ritenuto il maggior rivale di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), non solo per questioni estetiche ma anche caratteriali, fin dalle cronache del tempo spesso sfociate in leggenda, Borromini viene descritto uomo inquieto, schivo e ombroso, insoddisfatto dei suoi disegni che arriva a distruggere, finendo lui stesso suicida.


Francesco Borromini, Anonimo ritratto giovanile

Primogenito di quattro fratelli, Borromini era figlio del modesto architetto Giovanni Domenico, capomastro al servizio dei Visconti a Milano, mentre la madre, Anastasia Garove, proveniva da un'agiata famiglia imparentata, alla lontana, con Domenico Fontana (1543–1607), prestigioso architetto attivo tra Roma e Napoli, sotto il papato di Sisto V. 
Francesco, avrebbe iniziato a firmarsi come "Borromini" solo dal 1628, così da distinguersi dalle diverse maestranze edili romane che portavano il nome di Castelli. Si ritiene che il nuovo cognome potrebbe avere origine da Carlo Borromeo (1538-1584), arcivescovo e Santo di Milano al quale Francesco era particolarmente devoto.
La formazione di Borromini seguiva l'iter delle molte maestranze di scalpellini provenienti dalla regione del lago di Lugano. Nel 1608, a soli nove anni, fu inviato dal padre a Milano presso Gian Andrea Biffi (1580–1630), che gli insegnava "l'arte di intagliare la pietra".

Qui, fino ai diciotto anni, svolse l'umile mestiere in numerosi posti, fra cui l'eterno cantiere gotico della Fabbrica del Duomo dove Borromini ebbe modo di affinare l'uso di svariate tecniche

In cerca di fortuna, Borromini decise di recarsi a Roma viaggiando alla maniera dei pellegrini, trovando asilo nei conventi e compiendo qualche tappa "studio" a Ravenna e all'Abbazia di San Galgano
A Roma, nel 1619, Francesco fu ospite di uno zio da parte di  madre, Leone Garove, anche lui capomastro scalpellino a Milano che qui, nella città dei papa, era diventato parente dell'illustre architetto Carlo Maderno (1556-1629), insignito da Paolo V Borghese (1605-1621) a capo di San Pietro. 
Precipitato da un'impalcatura della Basilica, Garove lasciava presto le consegne a Borromini che, nel 1620, entrava nella prestigiosa Fabbrica dove Maderno coglie subito la grande padronanza tecnica e concettuale del giovane. Pare che Borromini e altri due scalpellini, con l'eredità dello zio Garove, istituivano presso la residenza di Maderno una società di arte del marmo, cosa di vitale importanza per il giovane che, da apprendista, diventava così capomastro.


Francesco Borromini, Scala elicoidale, 1633-'34,  Palazzo Barberini, Roma 

Appartengono a questi anni, sotto l'ala di Maderno, gli interventi nel cantiere di Sant'Andrea della Valle e nella Fabbrica di palazzo Barberini (Palazzo Barberini: il manifesto del Barocco) dove, alla morte del maestro, Borromini era riconfermato al fianco di Bernini con il quale aveva già collaborato a San Pietro. A Palazzo Barberini si consumava l'ultima collaborazione fra i due geni del Barocco, due figure con vedute molto divergenti (Borromini: eleganza, rigore e tormento).


Baldacchino di San Pietro, Gian Lorenzo Bernini, collaborazione con Francesco Borromini, 1624-'33, bronzo e basamento in marmo, Basilica di San Pietro in Vaticano, Città del Vaticano

Dal punto di vista artistico tuttavia, l'incontro con Bernini fu assai fruttuoso: dal primissimo sodalizio infatti, nasceva il Baldacchino di San Pietro (1624-'35), dove la partecipazione di Borromini è certa nel coronamento dell'aereo ciborio con volute a dorso di delfino.

Su proposta di Bernini, nel 1632, a trentatre anni, Borromini  riceve un prestigioso incarico che lo vede, in veste di Architetto, responsabile dell'Università di Roma. Il gesto generoso da parte dell'artista "principe" di Urbano VIII, forse nasconde l'intento di sbarazzarsi di un assistente ribelle con il quale aveva già consumato i rapporti a Palazzo Barberini 

Libero da vincoli e finalmente autonomo, su richiesta dei Trinitari Scalzi spagnoli, Borromini mette mano al primo prestigioso incarico, la progettazione del complesso di San Carlino alle Quattro Fontane (1634-'38). Il Complesso di San Carlo che comprende la Chiesa e il Monastero, sarà un’opera emblematica nella carriera di Borromini; si tratta del suo primo intervento, realizzato in piena autonomia, negli anni di esordio della grande Roma barocca. Purtroppo sarà anche l’ultimo, perché la facciata della chiesa era stata interrotta nel 1638 circa, per mancanza di fondi e Borromini tornerà a metterci mano poco prima di concludere tragicamente la sua tormentata esistenza. Nel decennio tra il 1670 e '80, la facciata di San Carlino verrà ultimata dal nipote Bernardo Borromini che metterà in opera i disegni dello zio.


Francesco Borromini, Cupola a ottagono e croce di San Carlino, Roma

Nel Complesso di San Carlo alle Quattro Fontane, Borromini sfida sé stesso e con coraggio, riesce pienamente ad articolare in un terreno molto ristretto e dunque a rischio di spazi angusti, un confortevole convento munito di refettorio, chiesa, chiostro di preghiera e altri ambienti funzionali pieni di una luce. 

Fin da ora infatti, Borromini firma le sue opere di bianco, quell'intonaco povero che tuttavia esalta gli interni delle sue chiese, con atmosfere di armonia e rigore, come si adatta al luogo sacro. Il Complesso di San Carlo sembra immenso, l'architettura appare in un movimento continuo di espansioni e restringimenti, una cosa che non s'era mai vista prima e che colpì moltissimo i contemporanei, tanto da veder girare fin da subito i primi disegni

Borromini aboliva gli angoli retti per imprimere all'architettura un movimento fluido, fatto di curve morbide e arrotondate, a partire dal Chiostro del Convento, alla pianta centrale e a forma di ellisse della chiesa, fino al timpano sopra l'altare maggiore che avvolge la struttura come un grande serpente che contrae e rilascia le sue spire. 


Francesco Borromini, Chiostro interno di San Carlino

Borromini aveva ripreso la lezione di Michelangelo (1475-1564) nel trattare le pareti come masse scultoree scavate in profondità e rese leggibili attraverso i movimenti di luce ed ombra. 


Francesco Borromini, dettaglio della Cupola a ottagono e croce di San Carlino

La cupola, introdotta da un'enorme corona ovale, simbolo di San Carlo Borromeo (1538-1584) a cui la chiesa era dedicata, appare schiacciata dall’effetto prospettico dei cassettoni che diminuiscono, via via, in elementi geometrici di croci greche, esagoni e ottagoni incastrati l'un sull'altro, come a nido d'ape. 



Borromini, che conosce tutta la tradizione architettonica, non solo quella del Rinascimento classico, riprende il motivo decorativo della cupola da un mosaico paleocristiano della Chiesa romana di Santa Costanza, reso tridimensionale da un disegno a due dimensioni. 



La lanterna al centro e le due finestre alla base della cupola, lasciano entrare la luce solare che muta nel corso della giornata restituendo atmosfere sempre diverse.
Nella facciata, Borromini utilizza due ordini: la parte inferiore è caratterizzata dalla tipica successione di superfici concave e convesse, mentre la superiore presenta tre parti concave dove  la centrale, ospita un'edicola convessa con la statua di San Carlo Borromeo di Antonio Raggi (1675-1680). La parte alta della facciata, termina con il medaglione ovale, a superficie concava e sorretto da angeli in volo, un tempo ospitante la statua di San Carlo.


Francesco Borromini, dettaglio della facciata di San Carlino

Il risultato è di una facciata dinamica dove spiccano fantasiose decorazioni, a partire dai capitelli ricoperti di foglie e melagrani, a sottolineare l'irrompere della natura nell'arte. È questo un altro tema importante delle diverse poetiche che fanno la complessità dello stile Barocco. Il rapporto tra architettura e natura che vedeva sorgere ville come palazzi in aperta campagna (Palazzo Barberini: il manifesto del Barocco), si riscontra anche in scala minore nelle decorazioni, nell'utilizzo cioè di moduli geometrici rapportati a forme del mondo naturale. Borromini, come tanti artisti del Seicento, ne fa largo uso e di sicuro, sappiamo che era a conoscenza degli studi di Giovanni Keplero (1571-1630) sulle strutture dei cristalli e del nido d'ape.


Francesco Borromini, dettaglio di un capitello nella facciata di San Carlino

San Carlo racchiude tutto l'entusiasmo giovanile di Borromini, un compendio di idee e stimoli maturati negli anni, prima a Milano, dentro il cantiere Gotico del Duomo e tra le opere di Bramante, e poi con Maderno a Roma, alla scoperta delle antichità classiche e a diretto confronto con Michelangelo. 

San Carlo, anticipa geniali soluzioni che verranno sviluppate successivamente e infatti, l'artista non tarda a farsi notare negli ambienti ecclesiastici più sobri, rispetto alla corte di Urbano III, che trovarono nel suo stile severo e ben regolato, la cifra ideale per il raccoglimento in preghiera

Tra il 1637 e il '40, Borromini venne scelto della Congregazione di San Filippo Neri come architetto del nuovo Oratorio da costruire accanto alla chiesa dell'ordine, Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova). 


Francesco Borromini, Oratorio dei Filippini, 1637-'67, Piazza della Chiesa Nuova, Roma

La prima facciata curva di Roma, fu proprio quella  dell'Oratorio dei Filippini, tutta in mattoni rossi e dallo stile austero e rigoroso. L'architetto inoltre, concepì la distribuzione dei vari ambienti, oratorio, sacrestia e biblioteca, in base a criteri di funzionalità e coerenza: "un tono aulico negli spazi collettivi, dimesso e accogliente  per gli ambienti destinati alla residenza privata", come scrisse lo studioso borrominiano, Paolo Portoghesi (Paolo Portoghesi: "Io e Borromini").


Francesco Borromini, Interno della Cupola di Sant'Ivo alla Sapienza, 1643-'62, Roma

Sotto il pontificato di Urbano VIII, nel 1642, in qualità di architetto responsabile dell'Università di Roma Borromini iniziava i lavori per Sant'Ivo alla Sapienza, chiesa riconosciuta all'unanimità da parte degli studiosi dell'artista, l'opera più compiuta, il simbolo della sua originale concezione estetica (Bruno Zevi e Sant'Ivo alla Sapienza di Borromini). 


Francesco Borromini, Sant'Ivo alla Sapienza, 1643-'62, Roma

Ancora una volta, Borromini deve fare i conti con vincoli spaziali preesistenti, a partire dal cortile porticato e rettangolare che lo costringe ad intervenire in dimensioni ridotte. L'architetto elabora una sperimentazioni intrepida e sulla geometria di triangoli sovrapposti, elabora una "pianta stellare". Forse un rinvio alle cellette esagonali a forma d'alveare d'ape, simbolo dei Barberini ?


Pianta di Sant'Ivo alla Sapienza

L'audacia di Borromini è ancor più palese nella cupola ripartita in spicchi, che si conclude con un'originalissima lanterna a spirale, una struttura che oltre a nascondere significati biblici e sapienziali, conferisce uno sviluppo dinamico e accelera lo slancio verticale della struttura (Borromini: eleganza, rigore e tormento).


Francesco Borromini, Lanterna di Sant'Ivo alla Sapienza

Nel 1653, Borromini realizzò per il palazzo del cardinale Bernardino Spada (1594-1661), del quale aveva già fatto la facciata nel 1632, una Galleria prospettica di colonne dove, con particolari accorgimenti ottici, simula una profondità assai superiore a quella effettiva.


Francesco Borromini, Galleria prospettica di Palazzo Spada, 1652-'53, Roma 

Costruita in un solo anno, tra il 1652 e il 1653, la finta prospettiva crea l'illusione di circa trentacinque metri di profondità, mentre nella realtà è poco meno di nove. Borromini fa convergere i piani verso un unico punto di fuga, così che il soffitto scende dall'alto verso il basso, e il disegno stesso del pavimento mosaicato, sale. 

Quasi certamente, l'opera era stata definita con il cardinale Spada che attribuiva al gioco illusorio, tutto il significato dell'inganno morale e dell'abbaglio per le grandezze terrene

Nel 1644, a Urbano VIII succede Giovanni Battista Pamphilj (1574-1655), con il nome di Innocenzo X (1644-1655), pontefice che volle epurare Roma dal potere, ancora molto vivo, dei Barberini. Come prima cosa, Innocenzo X decise di favorire Borromini a scapito del Bernini che, nei primi anni del suo pontificato, conobbe un notevole calo di commesse, anche per via dello scandalo dei campanili di San Pietro (La libertà di Bernini. Bernini Mago).


Francesco Borromini, interno San Giovanni in Laterano, Roma

Inizia ora per Borromini un lungo periodo di fervore artistico e lavorativo che lo vide coinvolto nel rifacimento interno della vetusta basilica di San Giovanni in Laterano, in occasione del giubileo del 1650. Pur vincolato dai capolavori preesistenti del soffitto a cassettoni e del pavimento cosmatesco che l'architetto  restaurò e integrò, anche qui Borromini creò uno dei suoi più alti capolavori. 
L'architetto racchiuse le colonne dell'antica navata centrale in nuovi pilastri, alternati ad archi e caratterizzati da un ordine colossale di paraste. Sui pilastri collocò delle nicchie a forma di tabernacolo, riutilizzando parte delle splendide colonne in marmo verde antico che sostenevano le volte delle navate laterali. Negli spazi delle navate minori, progettò delle fonti luminose per rendere la luce diffusa ed esaltare così il bianco dell'ambiente. 


Francesco Borromini, Sant'Agnese in Agone, 1653-'67, Piazza Navona, Roma

Dal 1653 al 1667, Borromini subentrò come architetto nella costruzione della chiesa di Sant'Agnese in Agone, sino allora sotto la direzione di Girolamo Rainaldi (1570-1655). 
Borromini cambiò in parte il progetto originale aumentando la distanza tra le due torri integrate nel prospetto e disegnando una facciata concava per dare più slancio verticale alla cupola dei Rainaldi, inizialmente troppo statica. Nel 1672, dopo la morte di Borromini, la chiesa fu completata da Carlo Rainaldi (1611-1691) figlio dell'architetto che aveva cominciato i lavori.



La salita al trono del toscano Fabio Chigi (1599–1667), papa Alessandro VII (1655-1667), segnò il tramonto professionale di Borromini che cadde in una profonda crisi, inaspritasi tra l'altro, anche dalla nuova ascesa di Bernini che tornò ad essere l'architetto preferito dalla corte papale.

Nell'estate del 1667, la sua salute già provata da feroci disturbi nervosi e depressivi, si aggravò a causa di ripetute febbri e un'insonnia cronica che lo portarono al suicidio per mezzo di spada

La morte non fu immediata, Borromini ebbe il tempo di spiegare le ragioni del folle gesto, dettare le proprie disposizioni testamentarie e ordinare di essere sepolto nello stesso sepolcro dell'amato Carlo Maderno, nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini.