Paesaggi in cartolina: Canaletto, Guardi e Bellotto

Passepartout, 2015

In questo breve estratto, Philippe Daverio racconta alcuni modi diversi di concepire il genere della “veduta” da parte di tre grandi protagonisti veneziani: Canaletto (1697-1768), Francesco Guardi (1712 - 1793) e Bernardo Bellotto (1721–1780). 

Nato nel Seicento, il genere pittorico del Vedutismo trova una particolare fortuna nella Venezia del Settecento grazie alla richiesta dei moltissimi viaggiatori stranieri che giungevano nella città lagunare in Grand tour, per arricchire la formazione culturale

Tappa obbligatoria, con Firenze, Roma, Napoli e Palermo, di Venezia questi giovani aristocratici amavano l’atmosfera suggestiva, i monumenti antichi, i palazzi, le chiese e le piazze inseriti dentro scorci pittoreschi di una città sull’acqua, ricca di luci, riflessi, colori e ombre.
Dipinti, disegni e incisioni creati per rappresentare Venezia con fedeltà, furono oggetto sia di un fiorente mercato, sia di un collezionismo straniero fino ad allora mai visto, soprattutto di derivazione inglese (Rudy Zocco: “Io sono Canaletto”).
L’esponente più noto di Vedute veneziane fu il pittore e incisore Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto, formato in parte a Roma dove frequentò paesaggisti italiani e stranieri (Il grande Canaletto). Tornato a Venezia, Canaletto rinuncia ben presto alle rappresentazioni scenografiche e teatrali, rigidamente prospettiche e accademiche, per esplorare una nuova riproduzione fedele del dato naturale (Canaletto e la Veduta: il genio e maestro).
Le sue Vedute della Serenissima, tutte di altissima qualità, furono realizzate in piccolo, medio e grande formato assecondando le facoltà di acquirenti più o meno ricchi in cerca di souvenir particolari, oggetti che oltre a ricordare Venezia restituissero anche l’eccellente tradizione pittorica del luogo.
Grazie ai suoi mecenati, Canaletto poté vantare una fama internazionale elevando il Vedutismo, allora considerato un genere minore, alla corrente di gusto dominante in Europa, capace di contrastare con successo sia la tradizionale pittura di storia, sia la moderna moda per l’esotico (Juvarra, “Villa della Regina” e la cineseria). 
Tanta fortuna è senza dubbio riconducibile alla sua prodigiosa capacità tecnica. Maestro della “camera oscura”, Canaletto documentava con precisione illuministica l’ambiente veneziano, riproducendo magistralmente edifici, oggetti e figure senza trascurare il mutevole rapporto fra le cose e la luce.

Canaletto, Il Molo dalla Piazzetta verso punta della Dogana, con la Chiesa della Salute, 1740-45, olio su tela, 57,7×93,5cm., Wallace Collection, Londra

La formazione di Francesco Guardi avviene a Venezia nella modesta bottega a conduzione familiare del padre Domenico, con i fratelli Nicolò e Antonio. 
Guardi inizia a realizzare Vedute dopo la metà del Settecento, quando ha ormai più di quarant’anni, forse nel tentativo di entrare nel fiorente mercato straniero rimasto orfano di Canaletto, allora trasferitosi in Inghilterra. 
Le prime opere di Guardi ricalcano le composizioni di Canaletto: la stesura pittorica fluida e controllata è ancora lontana da quella frizzante e semplificata che lo renderà celebre. 
La sua vena singolare, tuttavia, emerge già in alcune opere del primo periodo, dove le figure, costruite con spumeggianti impasti di colore, rivelano un timbro cromatico vivacissimo. 

Francesco Guardi, La festa dell’Ascensione in Piazza San Marco, olio su tela, 1775, Museo Calouste Gulbenkian, Lisbona

Guardi inizia la sua attività di Vedutista un po’ prima dei cinquant’anni: nel 1764, sono documentate due grandi Vedute di Piazza di San Marco commissionate da un “forestiero inglese”. Poco dopo, Guardi realizza le dodici tele delle “Feste dogali” desunte da modelli di Canaletto, incisi da Giambattista Brustolon (Museo del Louvre). La rilettura del “maestro” rivela la forza trasfiguratrice e fantastica del giovane pittore. 

Con la maturità il suo stile personalissimo si fa più libero e allusivo: il paesaggio viene filtrato dallo stato d’animo del pittore

Guardi fu autore di atmosfere sfuggenti, nostalgiche e malinconiche, dalle quali si desume anche un certo sentimento di declino della Serenissima. Le proporzioni gli elementi sono liberamente alterate, la struttura prospettica diventa elastica e si deforma, le figure sono semplici macchie di colore, un rapido scarabocchio bianco, o un punto nero tracciato con un segno tremolante. 

Francesco Guardi, Venezia: le Fondamenta Nuove con la laguna e l'Isola di San Michele, 1758, olio su tela, 72x120cm., Collezione privata

Oltre agli aerei “Capricci”, Guardi dipinge anche alcune splendide tele di ville venete immerse nel verde della campagna e alle tradizionali Vedute di Venezia affianca quelle della laguna, ampliando gli orizzonti del Vedutismo settecentesco, fino a dissolverlo in vaste distese d’acqua e cielo. 
Dopo la morte del pittore, su Francesco Guardi cade l’oblio. La sua riscoperta fu merito di una mostra del 1965 curata da Pietro Zampetti a Palazzo Grassi

Bernardo Belotto, Canal Grande di fronte a Santa Croce, 1738 ca., olio su tela, 59,7×92,1 cm., National Gallery, Londra

Figlio di Lorenzo Bellotto e Fiorenza Canal, sorella di Canaletto, Bernardo Bellotto è stato un artista precoce che, già nel 1738, a diciassette anni, risultava iscritto alla fraglia dei pittori veneziani.
Entrato giovanissimo nell’atelier dello zio, riprende la formula del Vedutismo imparando procedimenti e metodi per poi, successivamente, raggiugere la propria autonomia espressiva. 
“Canal Grande di fronte a Santa Croce” (Londra), è un rarissimo esempio della tecnica e dello stile del primo periodo di apprendistato nell’atelier di Canaletto. Nonostante la qualità elementare del linguaggio, emergono già alcuni tratti distintivi del giovane: la luminosità fredda e argentea, l’incisività della descrizione, la geometrica esattezza con cui riproduce nell’acqua, il riflesso della chiesa. 
La padronanza dei mezzi tecnici si rivela alla vigilia del viaggio a Roma decisivo per l’autonomia espressiva di Bellotto. Nel 1742, lascia Venezia per recarsi prima a Lucca e Firenze e poi nella Città eterna
Nei primi lavori fiorentini Bellotto raggiunge la massima espressione della sua poetica giovanile e crea esempi unici di Vedutismo veneziano applicato ad altre città. 
Nelle Vedute dell’Arno a Firenze, il fiume è ripreso come un canale veneziano, ma la prospettiva aerea sulle case lontane e le colline all’orizzonte sono elementi stilistici nuovi. Malgrado il legame con le Vedute veneziane sia ancora forte, l’autonomia da Canaletto prende forma nella scelta dei colori, nei marcati contrasti e nell’intonazione argentea resa con pennellate raffinatissime. 

Bernardo Bellotto, Capriccio romano con arco di trionfo, piramide Cestia, San Pietro in Vaticano e Castel Sant'Angelo, 1743-47, olio sula, 114x130 cm., Galleria Nazionale Palazzo Della Pilotta, Parma

Nel 1742, a Roma, Bellotto disegna molto e prende appunti, anche studiando sulla massa di stampe topografiche pubblicate tra Sei e Settecento sulla Città, ma quasi sicuramente dipinge le Vedute solo al ritorno a Venezia, alla fine del ’43. 
Nel “Capriccio romano con arco di trionfo”, Bellotto immagina una veduta “moderna” con gruppi di astanti in riva al Tevere, manipolando gli elementi topografici e architettonici. Evidente la conquista dei mezzi espressivi e tecnici: le pennellate larghe, il disegno morbido delle decorazioni degli edifici, le infinite sfumature di colori, il cielo percorso da nubi, l’acqua segnata di sfumature di verde. 
Dal 1744, lavora per l’illuminata aristocrazia lombarda e risiede a Venezia solo saltuariamente. 

Queste escursioni nella campagna di Varese risvegliano nell’artista un’affezione profonda per la natura, che d’ora in poi lo accompagnerà nel suo percorso artistico 

La raffinata modulazione di luci e ombre sulla tavolozza di verdi, beige, crema e gialli, che caratterizza le sue Vedute di Gazzada, lo allontana ulteriormente dallo stile dello zio rivelando una fase nuova della sua poetica: l’interesse e il fascino per il mondo rurale, il paesaggio, le persone e le loro attività. 
Nel 1745, la prima commissione reale di prestigio, per Carlo Emanuele III di Savoia, impegna Bellotto in due Vedute di Torino di grande formato; firmate con il soprannome “Canaletto”, le opere concludono la prima fase artistica di Bellotto ed anticipano i grandi lavori di Dresda, nella combinazione di vastità panoramica e minuziosità topografica. Di questo periodo anche le Vedute di Verona, liricamente vicine a quelle torinesi e alcuni Capricci in cui l’artista presenta uno stile ormai del tutto autonomo, una tecnica altissima e un personale modo di assemblare ricordi, appunti, elementi di realtà. 

Bernardo Bellotto, Il Vecchio Mercato di Dresda, 1750-’52 ca., Museo Pushkin, Mosca

Nel 1747, mentre Canaletto è in Inghilterra, Bellotto lascia per sempre l’Italia e si trasferisce a Dresda, alla corte di Augusto III di Sassonia e re di Polonia, dove è nominato pittore di corte. Nella sua prima Veduta della città, ripresa dalla riva destra dell’Elba, l’artista sembra voler sottolineate questo momento importantissimo della sua vita con l’estesa firma in primo piano e con la raffigurazione di sé stesso, intento a disegnare. 

Questi dieci anni di intensa attività culminano con le quattordici grandi Vedute di Dresda e le undici di Pirna, capolavori del Vedutismo settecentesco e altissima vetta dell’arte di Bellotto

La serie reale e verrà acquistata da Caterina II di Russia; oggi son conservate in gran parte all’Ermitage di San Pietroburgo. In queste tele le Vedute urbane occupano solo una sottile striscia del quadro, i primi piani diventano palcoscenici affollati di figure immerse in atmosfere rurali con mucche, contadini, pescatori e bucati stesi ad asciugare. 
Ma Bellotto riprende anche il cuore borghese della capitale, con i suoi antichi edifici: il municipio, il campanile e la cattedrale sono immersi nelle luci e ombre del giorno che rendono vive le cose. La stessa piazza è dipinta anche in un affollato giorno di mercato: minuscoli colpetti di pennello descrivono la folla, mentre l’imponente Kreuzkirche, così diversa dalle chiese italiane, affascina il pittore che ne documenta con precisione l’architettura. La chiesa verrà distrutta da un bombardamento prussiano nel 1760 e Bellotto ne ritrarrà le rovine in un famosissimo dipinto. 


Bernardo Bellotto, Pirna dalla riva destra dell'Elba, 1753-‘55, olio su tela, 133,5x237,5 cm., Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo     

Dopo sei anni di lavoro alla corte di Dresda, Bellotto, con l’appoggio del re, rivolge il suo sguardo alla cittadina di Pirna, situata a circa diciassette chilometri dalla capitale.
Il fitto paesaggio di architetture medievali e moderne affascina l’artista che gioca con i volumi in straordinarie descrizioni della cittadina bagnata dal fiume Elba. Il dipinto mostra la città in lontananza con l’agglomerato di case sopra le quali svetta la chiesa, il campanile e la graziosa torre del municipio; sulla riva del fiume, in primo piano appaiono tre figurine operose e sullo sfondo, un traghetto sull’acqua appena increspata e un gruppo di figure sulla sponda opposta intente al lavoro quotidiano. 
Tra il 1758 e il ‘59, dopo lo scoppio della guerra dei sette anni, Bellotto va a Vienna. Qui lavora per il conte di Kaunitz e il principe di Liechtenstein. Tra le sue opere, alcune sono dedicate alla rappresentazione delle residenze imperiali, un genere nuovo per Bellotto. 

Bernardo Bellotto, Il Palazzo di Nymphenburg, 1761, olio su tela, 68,4x 119,8 cm., Residenzmuseum, Monaco di Baviera, Germania

Agli inizi del 1761, l’artista lascia Vienna per Monaco: ha in tasca una lettera di raccomandazione di Maria Teresa per la cugina Maria Antonia, ospite a Monaco del fratello Massimiliano III, elettore di Baviera. Per lui, realizzerà tre Vedute della città e della residenza di Nymphenburg, tra le quali, una ripresa del parco che è un capolavoro di costruzione compositiva con un punto di vista sopraelevato, quasi “impossibile”. L’assoluta precisione dei particolari architettonici, sino ai più lontani, in una sorta di ideale messa a fuoco integrale fu resa possibile grazie allo sfruttamento della camera ottica.

Al ritorno a Dresda, alla fine del ’61, trova la città provata dalla guerra e dalla crisi economica

La sua casa è bruciata, quasi tutte le lastre delle sue incisioni perdute. Nel giro di poco tempo muoiono Federico Augusto e il conte di Brühl e l’artista perde il posto di pittore di corte: per vivere, accetta la qualifica di “membro aggiunto” di prospettiva, nemmeno insegnante, nella neonata Accademia di Belle Arti

In questi anni nascono i Capricci e progressivamente, l’artista approda a una precisione analitica quasi classicheggiante

Nel 1767, Bellotto lascia Dresda diretto a Pietroburgo, ove non giungerà. Lo trattiene infatti Stanislao Augusto Poniatowski, che lo nomina pittore di corte. A Varsavia l’artista rimarrà fino alla morte, eseguendo la celebre serie di ventisei Vedute della città, oltre a dipinti di soggetto storico ed allegorico. 
Bellotto rimane quasi stregato da Varsavia, dal suo fascino di contraddizioni: l’immensità delle pianure, le chiese barocche, i palazzi e la miseria delle baracche dei poveri. 
Rimane caratteristica dell’ultima poetica di Bellotto la straordinaria capacità di cogliere l’atmosfera dei luoghi, la percezione profonda e vera del paese, le molteplici figure umane che lo popolano, il loro vivere, muoversi e affannarsi in una condizione umana che riflette la propria imminente fine.

FOTO DI COPERTINA
Francesco Guardi, La festa dell’Ascensione in Piazza San Marco, olio su tela, 1775, Museo Calouste Gulbenkian, Lisbona