Klimt, Emilie Flöge e le donne

Oro ed eros nel decadentismo viennese

La donna è stata quasi sempre la protagonista dei quadri di Klimt, dalle prime allegorie di sapore Preraffaellita, alle “femme fatale” del “periodo d’oro", fino agli ultimi ritratti caratterizzati da cromatismi di gusto già Espressionista

Gustav Klimt (1862-1918) dedicherà tutta la vita alla ritrattistica di donne belle, famose e facoltose. Fonte sicura di guadagno, con loro instaurava un rapporto privilegiato, un’amicizia amorosa utile ad esplorare da vicino il mistero del femminile. L’universo donna era una tematica molto vivace nella cultura decadentista di fine Ottocento; la crisi delle certezze positiviste induceva a sondare strade di conoscenza alternative alla ragione. Intuizione, inconscio, stati alterati dell’io, nevrosi, allucinazioni e incubi, spesso provocati dall’alcol e dalle droghe, trasformano l’artista in veggente, esteta, creatore di metafore, analogie e segreti che dilagano a partire dalla poesia (Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Oscar Wilde, D’Annunzio, etc.), fino alle arti figurative. 

Per Klimt la donna rappresenta l’ignoto, un involucro raffinato e di estetismo supremo dietro al quale si cela il mistero del “non visto”  

Incurante delle apparenze e delle convenzioni borghesi, la personalità di Klimt tra il dandy e il bohemien, recherà spesso scandalo e la sua opera sarà soggetta a censura. Mai sposato, ma padre di almeno quattordici figli, l’artista frequenta moltissime donne, per lo più modelle che abitano lo studio, ma solo con Emilie Flöge (1874–1952), signora di grande bellezza e fascino, instaura un rapporto speciale. Amica, amante, musa ispiratrice, compagna nella vita pubblica e privata, la coppia vivrà uno strettissimo sodalizio artistico, senza mai ufficializzare l’unione.
Gustav ed Emilie avevano iniziato a frequentarsi grazie al fratello di Klimt, Ernst (1864-1892) che aveva sposato una delle sorelle Flöge. I due si incontravano sovente nella casa di famiglia sul lago Attersee, località amena nella quale sono stati spesso immortalati da obiettivi fotografici.

Emilie fu un'incredibile stilista che lavorò nella capitale austriaca prima come designer, poi come donna d'affari 

Mentre Coco Chanel apriva il suo salone a Parigi nel 1910, Flöge già da diversi anni confezionava abiti all'avanguardia ispirati a decorazioni popolari ungheresi e slave.

Gustav Klimt ed Emilie Flöge, 1909 circa

Flöge aveva una chiara idea circa la libertà del corpo femminile, per questo prendeva le distanze dai corpetti costrittivi dell'epoca per proporre abiti morbidi, simili ai diffusi grembiuli o ai più moderni caftani facili da indossare. Le silhouette giocose e fluttuanti dei suoi abiti rappresentano una potente dichiarazione di valori moderni e rivoluzionari portati in auge con stampe floreali o giochi cromatici che celebrano l’Oriente, la libertà fisica, l'espressione di sé e la vicinanza alla natura.
Nel 1904, Emilie inaugurava con le due sorelle l'atelier “Schwestern Flöge” nella vivace Mariahilfer street di Vienna, un'impresa singolare per tre donne trentenni non ancora sposate. Il grande laboratorio e negozio, che dava lavoro a quasi ottanta persone, anticipava i concept store di oggi. Progettato da Josef Hoffmann (1870-1956), architetto anche dello studio di Klimt (Josef Hoffmann, architetto e designer), tra gli abiti confortevoli dalle vistose fantasie, trovavano posto affascinanti oggetti d'arte: scatole intarsiate con lapislazzuli, pettini di tartaruga, quaderni di carta marmorizzata, calici d'argento e bambole di legno intagliate a mano.

Gli abiti erano spesso il risultato di un lavoro a quattro mani, Gustav disegnava per lei e lei per lui in uno scambio fecondo e paritario; senza dubbio la coppia fu influenzata anche dai primi accenni dei movimenti femministi che, di lì a poco, avrebbero infiammato l’Europa 

Il negozio di Emilie era nato dopo una svolta importante del gruppo secessionista.
Nel 1902, la XIV Mostra, allestita nella nuova Palazzina progettata da Joseph Maria Olbrich (Un moderno Palazzo per la Secessione viennese), concretizzava l’idea di ”arte totale” con un’istallazione complessa di pittura, scultura, architettura, arti decorative, poesia e musica, tutte in perfetta fusione armonica (Klimt la Secessione e il Fregio di Beethoven). Nell’onda del successo della mostra, nel 1903, grazie anche all’aiuto finanziario di sostenitori, come il banchiere Fritz Wärndorfer, Klimt e i suoi compagni d’avventura fondavano la “Wiener Werkstätte” un laboratorio-officina d’arte, alla maniera delle “Arts and Craft” di William Morris (Gli esordi di Gustav Klimt), in grado di produrre una quantità di articoli raffinatissimi, semplici e funzionali: tessuti, ceramiche, gioielli, mobili e cartoline postali (Il "Gruppo Klimt" e le Arti applicate). 

Gustav Klimt, La Speranza I, 1903, olio su tela, 189,2x67cm., Galleria Nazionale del Canada, Ottawa 

A differenza della pittura di fine secolo, dove spesso la donna assume i connotati di un idolo malefico, specchio sessuofobico che caratterizza l’epoca, Klimt guarda al femminile con idolatria e ammirazione. 
Del periodo tardo Simbolista, “Speranza”, rappresentazione di una donna in stato avanzato di gravidanza che l’artista decise di esporre sei anni dopo la sua realizzazione, nel 1909, consapevole che la Vienna benpensante difficilmente avrebbe accettato un soggetto così scabroso. Il primo proprietario del quadro, l’industriale Fritz Wärndorfer, finanziatore delle “Wiener Werkstätte”, lo teneva coperto per evitare scandali.
Nulla esprime la tenerezza di un concepimento, anzi, l’atmosfera cupa della tela predice messaggi funesti: lo sguardo della donna poco rassicurante e fissato verso lo spettatore, l’esibizione quasi sfacciata del corpo ossuto e sformato, lo sfondo con volti terribili e teschi spettrali, simboli del male e di forze ostili, sono evidenti segnali di inquietudine fine secolo. 
Queste angosce si dissolvono nei primissimi anni del Novecento con il “periodo d’oro” di Klimt. Nel 1907, una decorazione bidimensionale e ricca di materia preziosa, andrà a comporre “Speranza II” un'immagine serena e appagata di maternità dove una bellissima donna si concentra sul dialogo spirituale con la propria creatura. 

Gustav Klimt, Giuditta I, 1901, olio su tela, 84×42cm., Österreichische Galerie Belvedere, Vienna

Intorno al 1903, dopo il “Fregio di Beethoven” (Klimt la Secessione e il Fregio di Beethoven), lo stile di Klimt cambia: il nuovo “periodo d’oro” fu sicuramente determinato anche dall’influenza dei mosaici bizantini ammirati durante due viaggi a Ravenna. L’oro diventa la costante dei suoi ritratti femminili realizzati tra il 1902 e il 1908 circa. Già presente nelle prime opere di Klimt, con funzione coloristica e decorativa, in questo periodo l’oro diventa un mezzo per evocare associazioni magiche di purezza ideale e preziosa.
Nella prima versione di “Giuditta” (1901), secondo il racconto biblico la donna si adorna di gioielli per sedurre Oloferne e liberare il suo popolo. Qui l’eroina non appare devota e sottomessa, ma sicura di sé come una moderna “femme fatale” dominatrice di uomini, come nella letteratura del tempo. 

Gustav Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer, 1907, olio su tela, 138x138cm., Neue Galerie, New York

Si pensa che dietro questa insolita “Giuditta” si celi il volto di Adele Bloch-Bauer, moglie di un banchiere in vista della capitale e amante di Klimt, protagonista del quadro più famoso del “periodo d’oro”: “Ritratto di Adele Bloch-Bauer” (1907).
Come “Giuditta”, Adele indossa un vistoso collare simbolo della moderna eroina. Completamente avvolta in una cascata d’oro che compone l’abito, il volto pallido, incorniciato da una massa di capelli neri e le mani magre elegantemente intrecciate emergono dalla superficie piatta. Qui, Klimt accentua il contrasto tra l’astratto appiattimento degli abiti e la resa naturalistica di viso e braccia, caratteristica ricorrente in molte opere di questi anni.


Gustav Klimt, Il bacio, 1907-‘08, olio su tela, 180x180cm., Österreichische Galerie Belvedere, Vienna

Del “periodo d’oro" anche “Il Bacio”, senza dubbio l’opera più famosa di Klimt, dove l’uso dell’oro e di frammenti di materiali preziosi rendono magica l’atmosfera. Dalla ricca decorazione che smaterializza ogni elemento naturalistico, emergono i volti dei due giovani amanti, sprofondati l’uno nell’altro e uniti nell’estasi amorosa. Una nuvola d’oro li confina lontani dal tempo e dallo spazio in una dimensione cosmica, dove l’unione carnale è sublimata dall’oro e la donna, da crudele ammaliatrice, diventa fonte di vita e speranza.
I temi della creazione, della sensualità, dell’erotismo, ritornano in una composizione raffinata e fortemente simbolica: “Danae” (1908). 

Gustav Klimt, Danae, 1907, olio su tela, 77x83cm., Galerie Würthle, Vienna

Qui l’artista attinge ancora alla mitologia greca, ma affronta il soggetto in maniera introspettiva, confinando nel sogno il rapporto carnale tra Zeus e la giovane donna. Klimt trasforma Danae in una bellissima creatura dolce e sensuale ritratta nel momento dell’estasi amorosa, quando una pioggia d’oro fissa l’attimo della creazione e rende la giovane simbolo di fertilità universale.

Gustav Klimt, Giuditta II, 1909, olio su tela, 178x46cm., Galleria Internazionale d'Arte Moderna, Venezia

“Giuditta II” segna la fine del “periodo d’oro” e l’avvio verso un’ennesima svolta stilistica di Klimt. Nel quadro prevale ancora il decorativismo, tuttavia l’artista abbandona lo sguardo sensuale della prima “Giuditta” e svela la furia vendicatrice che anima una donna dal volto crudele e ossuto, le labbra affilate, le mani rapaci e il tutto, in netto contrasto con il seno morbido e offerto senza pudore.

Klimt fissa così le ambivalenti caratteristiche della “femme fatale” in cui albergano seduzione e morte

Dopo il “periodo d’oro”, nonostante il successo in patria e in Europa, Klimt attraversa un’altra crisi profonda.
Le avanguardie hanno cambiato il volto dell’arte e il pittore percepisce l’incapacità di esprimere con la sua opera il disagio dello sgretolamento di un mondo minato nei suoi valori tradizionali.

Gustav Klimt, Signora con manicotto, 1916-’17, olio su tela, 50x50cm., collezione privata, Cecoslovacchia 

I ritratti dipinti dopo il 1909 testimoniano la ricerca di una nuova formula espressiva alternativa allo stile decorativo. I volti melanconici ricchi di pathos e introspezione psicologica, a tratti sono più vicini alla Parigi di Toulouse Lautrec che agli angoscianti esiti dei giovani allievi, Egon Schiele e Oskar Kokoschka (Klimt e i giovani Schiele e Kokoschka). In “Signora con manicotto” il modo civettuolo in cui la protagonista nasconde parte del viso con la pelliccia evoca un’opera precedente di Klimt del 1909 (“Donna con cappello e boa di piume”, Österreichische Galerie Belvedere, Vienna), ma lo sfondo dai colori vivaci, enfatizzati dal nero del manicotto, trova ispirazione nell'arte giapponese tanto amata da Klimt.
Ancora una volta, l'artista si rivolge alle sue nobildonne della società viennese, per lo più mogli dei suoi generosi sostenitori. La nuova pennellata, rapida e sfilacciata, alla maniera espressionista di Henri Matisse (1869-1954), esposto a Vienna nel 1909, rende certe figure accese di colori brillanti, come in “Ritratto di signora”, del 1916 circa (Flavio Caroli e i misteri di "Ritratto di signora").

FOTO DI COPERTINA
Gustav Klimt, dettaglio “Danae”, 1907, olio su tela, 77x83cm., Galerie Würthle, Vienna