Caravaggio e la sua "cerchia"

Da Roma in Europa

Dopo il Caravaggio, i “caravaggeschi”. Quasi tutti a Roma, anch’essi, e da Roma presto diramatisi in tutta Europa. La “cerchia” si potrà dire, meglio che la scuola; dato che il Caravaggio suggerì un atteggiamento, provocò un consenso in altri spiriti liberi, non definì una poetica di regola fissa; e insomma, come non aveva avuto maestri, non ebbe scolari.”
Roberto Longhi, 1951

La "cerchia di Caravaggio", come definì Roberto Longhi il fenomeno (Longhi e Caravaggio, artista moderno e 'popolare'), era costituita da giovani pittori affascinati dalle novità di un "maestro" veramente singolare, senza scuola, ne tanto meno bottega. E poiché Caravaggio lavorava pressoché in solitudine, fatta eccezione per la presenza dei modelli, la sua influenza fu di seguaci, non allievi o discepoli. Tuttavia furono tantissimi i pittori che a Roma, già da inizio Seicento, iniziarono a guardare con interesse alla poetica della luce introdotta dal lombardo, sia per diretto contatto con le opere, sia per la diffusione di stampe e modelli.

Quando si parla di caravaggismo, si intendono cose molto diverse, riferite allo stile, al metodo di lavoro, fino allo spirito dell'opera, ossia al suo messaggio profondo

Alcuni artisti divennero caravaggeschi per sempre, imitando più o meno direttamente il Merisi, come successe nella rinascita "caravaggesca" della pittura napoletana (Napoli, prima e dopo Caravaggio).
Altri pittori, attraversarono una fase caravaggesca, per passare poi a stili completamente o parzialmente diversi. È questo il caso dei pittori caracceschi a Roma, quali Guercino, Lanfranco e anche il "raffaellesco" Guido Reni (1575-1642), allievo di Ludovico Carracci (Federico Zeri e Guido Reni). Esemplare la sua Crocefissione di San Pietro (1604-'05), destinata alla chiesa di San Paolo alle Tre Fontane (foto 1), realizzata nei primissimi anni di soggiorno romano su commissione del cardinale Pietro Aldobrandini. Cieli scuri, corpi tesi e veritieri, ma nella composizione, che evoca la tela omonima di Caravaggio (foto 2) dipinta qualche anno prima per Santa Maria del Popolo (1600-'01), la tensione drammatica è attenuata da una maggiore chiarezza spaziale e dall'assenza di diagonali.
Altri caravaggeschi, pochi, recepirono il nucleo morale e lo spirito della lezione di Caravaggio, senza tuttavia seguirne lo stile alla lettera, ma reinventando di volta in volta soluzioni nuove. Tra questi pittori presenti a Roma negli anni di Caravaggio, Tanzio da Varallo (1581-1633), Antonio Galli (1585-1652), detto lo Spadarino e soprattutto Orazio Gentileschi (1563-1639), amico e frequentatore dello studio del Merisi (Orazio Gentileschi: L'annunciazione di un caravaggesco). 
Gentileschi, interprete profondo dello spirito caravaggesco, seppur di nove anni più anziano del lombardo, in età matura lasciava il tardo Manierismo in voga e rinnovava il suo stile nel segno di un "naturalismo" intimo, familiare e raffinato. Nella sua Madonna col Bambino (1605-1610), né la Vergine, né il piccolo Gesù guardano l’osservatore (foto 3); tutto rimane trattenuto all’interno della tela, l’essenza dell’opera è giocata sul reciproco scambio di sguardi e contatti tra madre e figlio. Non c'è la solennità rituale tipica del soggetto sacro, ne la crudezza di Caravaggio, al contrario, il registro sentimentale accompagna un naturalismo fatto di dettagli e rifiniture pittoriche di tradizione toscana. 

Roma, centro artistico per eccellenza, oltre alla classicità rinascimentale offriva la visione inedita delle tele pubbliche di Caravaggio esposte a San Luigi dei Francesi e a Santa Maria del Popolo

Le immense pale, qualcuna respinta dal committente per mancanza di "decoro", portarono alla prima ribalta lo stile di Caravaggio (Claudio Strinati racconta Caravaggio), A cavallo del 1600, sulla scia del "naturalismo", orientamento definito da Bellori come il "colorire dal naturale", accorsero nell'Urbe centinaia di pittori: napoletani, marchigiani, senesi, bolognesi, fiamminghi, spagnoli e francesi che rimasero folgorati dall'artista lombardo. 

La variegata fenomenologia della "cerchia", investiva generazioni diverse, dai giovani che guardavano alle sue opere in loco, ai più anziani o coetanei di Caravaggio, che a Roma seguivano i dettami del Tardo Manierismo 

Il bergamasco Francesco  Boneri (1580-'90 ? – ante 1630), detto Cecco  del  Caravaggio, secondo dicerie romane di allora, amante del Merisi, prima di essere pittore fu modello per diverse tele dell'amico, a cominciare dal più "indecoroso" Amore Vincitore (1602-'03), dove il ragazzino tredicenne posa nudo (foto 5). Nel suo Fabbricante di strumenti musicali (foto 6), l’atmosfera caotica e ambigua della scena, piena di oggetti come giochi sul tavolo, lo sfondo scuro e il taglio compositivo, lo sguardo puntato sfrontatamente verso lo spettatore, sono dei precisi riferimenti alle celebri opere di Caravaggio, come Suonatore di liuto (foto 7) e Ragazzo morso dal ramarro.
Giovanni  Baglione  (1573–1643), pittore e biografo, noto nella Roma del tempo per essere stato investito da calunniosi versi satirici da parte di Caravaggio e compagni, nel suo Ecce Homo (1610 ca.), forse commissionato da Scipione Borghese (I Caravaggio di Scipione Borghese), l'accentuato realismo espressivo del manigoldo che emerge dallo sfondo scuro, viene subito controbilanciato dalla nobile figura in luce del Cristo, evocante di certo la scuola emiliana di Guido Reni (foto 8).
Il tema della musica, particolarmente in auge nella cerchia di cultori come Cardinal del Monte, protettore del giovane  Caravaggio, è trattato dal senese Antiveduto Gramatica (1571–1626), in Suonatore di tiorba (1605), opera raffinatissima forse parte di una più ampia composizione (foto 9). 

Noto all'epoca come ritrattista, nel 1592, Gramatica accoglieva nella sua bottega romana, per un breve periodo, il giovane Caravaggio

Gramatica fu tra i primi a subire il fascino del lombardo, al pari dei suoi protettori, che erano poi gli stessi di Caravaggio, il Cardinale Federico Borromeo e Francesco Maria Del Monte.
Un altro artista, tra i primissimi seguaci di Caravaggio e parte del circolo di Cardinale Scipione Borghese, il pittore lucchese Paolo Guidotti (1560-1629), a Roma negli anni del pontificato di Sisto V (1585-90), per importanti commesse ad affresco. Risale al 1608 il suo primo quadro da cavalletto, firmato e datato, Davide con la testa di Golia (foto 10). 
Un tipo di caravaggismo che doveva esercitare una vasta influenza sui pittori olandesi del Nord, ma anche francesi, sempre presenti a Roma, fu quello del veneziano Carlo Saraceni (1585-1625), attivo nell'Urbe dal 1598 al 1619. Tra le molte opere pubbliche del "Veneziano", come era chiamato, Saraceni aveva dipinto per Santa Maria della Scala in Trastevere, il Transito della Vergine (1609-1610), tela destinata a sostituire quella dell'amico rimossa per lo scandalo prodotto dall'indecorosa scena (Morte della Vergine, 1605-'06).
Dopo la morte di Caravaggio, nel secondo decennio del Seicento, Saraceni dominava le committenze pubbliche grazie a una sorta di "caravaggismo tonale" alla veneziana, temperato nei drammatici contrasti di luce e ombra da larghi e dolci brani luminosi, come nella sua Santa Cecilia e l’Angelo (1610, foto 11). La patrona della musica, è sorpresa mentre accorda un arciliuto, circondata da una vera e propria sfilata di strumenti tutti riconoscibili. Nella composizione, le grandi ali dell’angelo abbracciano l’intera ampiezza del dipinto e ricordano quelle di Amore vincitore (1602-'03).

Attiva nel secondo e terzo decennio del Seicento, la seconda generazione di caravaggeschi, nati negli ultimi decenni del Cinquecento, contempla artisti formati o direttamente sulle opere di Caravaggio, o sulle molte copie di tele che circolavano, assimilandone i temi, le composizioni e le soluzioni stilistiche, secondo le rispettive inclinazioni 

È il caso di Artemisia Gentileschi (1593-1652), che vede Caravaggio filtrato dagli occhi del padre Orazio, ma a differenza di questo, nelle sue molte Giuditte esibisce l'aspetto drammatico e violento del pittore lombardo (foto 12 e 13), senza indugiare in dettagli (Ritratto di Artemisia Gentileschi). Artemisia viaggiò molto, dal 1630 si stabilì a Napoli dove era ancora viva la "cerchia" caravaggesca sorta nella capitale del Viceré spagnolo, all'indomani dei due soggiorni del Merisi (Caravaggio e i caravaggeschi a Napoli). 

A Napoli, i caravaggeschi avranno moltissimo successo e a differenza di Roma, dove a partire dagli anni Venti del Seicento il gruppo iniziava a sfrangiarsi, nella città partenopea il verbo di Caravaggio avrà seguito fino alla metà del secolo 

L'esposizione in città della grande pala di Caravaggio, Le Sette opere di misericordia (1606-'07), cambierà il corso di tutta la pittura napoletana del Seicento, ad iniziare da quei pittori che videro all'opera il Merisi a Sant’Anna dei Lombardi, Carlo Sellitto (1580-1614) e Giovani Battista Caracciolo (1578–1635), detto Battistello (foto 14 e 15). 
Lo spagnolo Jusepe de Ribera (1591–1652), noto come lo Spagnoletto, arrivò a Napoli intorno al 1616, diventando un influente caposcuola dello stile "tenebroso" dell'ultimo Caravaggio (Caravaggio: Il Martirio di Sant'Orsola). Ribera, riuscirà ad ottenere la nomina di pittore di corte dei Viceré, titolo molto raro per la "scuola dei naturalisti" partenopei.
Mattia Preti (1613-1699) e Luca Giordano (1634-1705), sebbene iniziavano a dipingere guardando a Caravaggio, nella seconda parte del Seicento avviarono la pittura napoletana al barocco, facendosi promotori del mutamento di rotta (foto 16).  
A differenza di Roma, a Napoli nasceranno vere e proprie consorterie e dinastie familiari di pittori di genere che, sulla lezione del naturalismo caravaggesco, si dedicavano alle più diverse e disparate composizioni di natura morta (foto 17 e 18). Questi "quadri da stanza", erano destinati alla nuova borghesia laica, che li esibiva come simboli di cultura pittorica, né più né meno, come accadeva nel nord Europa.

La peste del 1656, riportava la pittura napoletana a un "punto zero", oltre il quale le nuove soluzioni stilistiche barocche sperimentate a Roma si facevano strada

Il più popolare divulgatore dei modi caravaggeschi a Roma, dopo il vuoto creato dall'artista con la definitiva partenza nel 1606, fu il lombardo Bartolomeo Manfredi (1582-1622). La produzione di Manfredi, a dir poco quasi "industriale, detta infatti "manfrediana methodus", riscuoteva grande successo di pubblico, sia tra privati desiderosi di possedere opere caravaggesche per le loro collezioni, sia nel clero che veniva appagato da immagini naturalistiche anche nelle storie sacre. Scene di vita quotidiana, come bevitori, giocatori di carte o cartomanti, figure di musici e soldati, apparivano nel mercato come “falsificazioni” di  Caravaggio, già mentre questi operava.

Pochi i dipinti  firmati, datati o documentati di Manfredi, motivo per cui, parte delle sue opere, sono state per anni attribuite a Caravaggio

Il Bacco e un bevitore (1610-'22), è un tipico esempio di come Manfredi prende "alla lettera" i modi dell'artista lombardo (foto 19): il volto del dio ricorda l'Autoritratto in veste di Bacco dello stesso Merisi, lo sfondo scuro staglia la sagoma del bevitore nella luce di taglio, il rosso della manica accentua l'abito elegante assieme alla piuma sul cappello.
Manfredi, capace di elaborare modelli ripresi direttamente dagli originali e organizzarli in diverse composizioni, attirò nella sua orbita soprattutto i giovani francesi, arrivati a Roma nel primi anni della seconda decade, come Nicolas Tournier (1590–1638), i francesi Valentin de Boulogne (1591-1632) e Simon Vouet (1590–1649).
Tournier, a Roma dal 1619 al 1626, nel suo Flautista (1626), mostra un giovane con rada peluria, di tre quarti e a mezzo busto, che  stringe lo strumento tra le mani (foto 20). Abbigliato alla moda, porta un cappello piumato e sulle spalle, esibisce un drappo rosso che lascia scoperta la manica di tessuto damascato, gli stessi accessori indossati nel Suonatore di liuto di Valentin (foto 21), un giovane soldato di ventura che canta un madrigale amoroso. 

Valentin de Boulogne, a Roma dal 1612, dove trascorre l’intera carriera, predilige scene di baldoria e osteria dipinte con immediatezza e vivacità vissuta

L'artista frequentava la "cerchia" romana di pittori olandesi e tedeschi che, nel 1624, lo accoglievano nell'associazione a fini benefici dei Bentvueghels (uccelli da stormo), famosa per i suoi rituali bacchici e per l'opposizione all'Accademia di San Luca. Nei Giocatori di carte (1618-'20), Valentin coglie l'umanità truffaldina caravaggesca, riportata nelle sue verità in una tela dello stesso formato rettangolare dei Bari (foto 21 e 22). 
Dello stesso spirito, anche Simon Vouet, a Roma intorno al 1614 e che, cimentato nel tema di una Buona ventura (1617), omaggia uno dei soggetti più riprodotti di Caravaggio (foto 24).
Esponente di spicco della Bentvueghels, arrivato alcuni anni dopo la sua fondazione nel 1625, fu l'olandese Pieter van Laer (1599–1675), attivo a Roma tra il 1625 e il '39. Per il suo aspetto sproporzionato, era chiamato Bamboccio, appellativo che finì con l'identificare un gruppo di pittori stranieri, ma anche italiani, dediti a ritrarre scene di genere sulla quotidianità popolare romana (foto 25). 
Questi artisti, detti "Bamboccianti", fecero conoscere il verbo di Caravaggio a Rembrandt e Vermeer, ma anche allo spagnolo Diego Velázquez (1599-1660), che nelle opere giovanili, dimostrava di aver compreso profondamente l'artista, nonostante visto nelle numerose "copie" di imitatori (foto 26).
"Bamboccio", anche il romano Michelangelo Cerquozzi (1602–1660), noto come pittore di battaglie, ma capace di una meditazione profonda sull'arte, come dimostra Autoritratto nello studio (1640-'46), descrizione inedita per l'epoca, dello spazio di vita dell'artista viveva (foto 27). 

Soggetto apprezzato dai collezionisti romani, la scena dice sostanzialmente, che Cerquozzi ha voluto esporre il suo metodo di lavoro, ossia l'utilizzo di modelli presi dalla strada, come qui il vecchio popolano barbuto, ritratto secondo costume dei caravaggeschi 

Dalla città olandese di Utrecht, arrivò una cospicua ed eletta colonia di seguaci caravaggeschi: Dirck van Baburen (1595–1624) e Hendrick Terbrugghen (1588–1629) e Gerrit van Honthorst (1592-1656), quest'ultimo, a Roma nel 1611 per circa un decennio. 

Gerrit van Honthorst elaborava un suo virtuosismo negli effetti di lume artificiale per scene ambientate di notte e parzialmente rischiarate dalla luce crepitante delle torce, o da quella tenue e soffusa delle candele

La specifica maestria tecnica, nella Roma del Seicento, gli valse il soprannome di Gherardo delle Notti. L'Adorazione dei pastori (1619), un notturno per la cappella medicea di Piero Guicciardini, nella chiesa fiorentina di Santa Felicita, sprigiona una luce divina che rende ogni tratto più dolce e soffuso. Nel 1993, l'opera subì ingenti danni nell’attentato mafioso degli Uffizi (foto 28 e 29). 
A Roma, Honthorst alloggiò presso Vincenzo Giustiniani, suo patrono e importante collezionista di opere di Caravaggio, Manfredi e i Carracci. Nella "cerchia" dei caravaggeschi, Honthorst attirò l'attenzione anche di un altro amatore molto particolare per tutto ciò che riguardava Caravaggio, il mecenate e cardinale Scipione Borghese che ricambiò la stima del pittore, impiegandolo in diverse commesse.
Mathias Stomer (1600–1650), si formava a Utrecht, presso la corporazione di artisti e artigiani, detta "gilda", aperta da Honthorst a Terbrugghen al loro ritorno in Olanda nei primi anni Venti del Seicento. La scuola dedicata a San Luca, era nata esplicitamente per diffondere le novità caravaggesche nell'Europa continentale (foto 30). 
A Roma dal 1630 al '33, prima di trasferissi a Napoli dove intercetterà la pittura del "tenebroso" Ribera, Stomer dipingeva l'Annuncio della nascita di Sansone a Manoach e alla moglie (1630-'32).  Per l’intensa luminosità, metafora della luce divina, il pittore olandese dimostra l'adesione alla matrice naturalistica olandese e a un Caravaggio, ancora una volta, filtrato dal maestro Honthorst (foto 31). 

FOTO DI COPERTINA
Gerard van Honthorst, L'Adorazione del Bambino, dettaglio, 1619-'20, olio su tela, 95,5×131cm., Galleria degli Uffizi, Firenze