Cortona a Roma: i toscani nell'Urbe

Le origini del palazzo Barocco

In un tour dentro due emblematici palazzi romani, quello dei Sacchetti e quello dei Barberini, lo studioso Philippe Daverio racconta la genesi della tipica decorazione barocca di soffitti e stanze (Passepartout. Illusionisti, 2008), caratterizzata dalla scelta massiccia di tecniche prospettiche ardite, dal "sotto in su", alla quadratura, un gusto già cinquecentesco adottato nelle dimore affrescate da Veronese e Giulio Romano

Le due nobili famiglie di origini toscane, i Barberini e i Sacchetti, nel Cinquecento lasciarono le loro dimore fiorentine per trasferissi a Roma ed accrescere il loro potere sotto la protezione dei papa 

Mentre i Barberini con l'ascesa al soglio di Urbano VIII (1623-1644) conquistavano il loro palazzo nella campagna appena fuori Roma (Palazzo Barberini: il manifesto del Barocco), i Sacchetti s'insediavano nel Rione Ponte, vicino alla Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, dove allestivano la loro cappella gentilizia. 
Solo nel 1648, acquistarono in via Giulia il nuovo palazzo degli Acquaviva, un prestigioso edificio eretto nella metà del Cinquecento da Antonio da Sangallo (1484–1546), al quale era appartenuto, per passare poi al Cardinal Giovanni Ricci, anche lui toscano di Montepulciano e uomo di potere. 
I Sacchetti, che avevano acquisito prestigio sociale gestendo risorse d'oro e banche, videro crescere i loro capitali anche attraverso le unioni matrimoniali; singolare quella tra Giovanni Battista e Francesca Altoviti, dalla quale nacquero dieci figli e tra questi, Marcello e Giulio Sacchetti, due importanti promotori e mecenati del giovane Pietro Berrettini (1597-1669), noto come Pietro da Cortona.

Pietro da Cortona, Ritratto del Cardinale Giulio Sacchetti, 1626-'27, olio su tela, Galleria Borghese, Roma

Giulio Sacchetti (1587-1663), nunzio in Spagna nel 1623, fu investito della porpora cardinalizia da Urbano VIII, evento che suggellò ulteriormente il legame amicale tra la famiglia e i Barberini. In occasione della nomina, il giovane Cortona, esegui il Ritratto del Cardinale, assieme a quello del fratello maggiore Marcello e di Urbano VIII. Forse, come fa notare lo storico dell'arte Tomaso Montanari, i tre ritratti dipinti negli stessi anni costituivano un trittico a sigillo dell'amicizia tra le due famiglie. 

Pietro da Cortona, Ritratto di Urbano VIII, 1627, olio su tela, 199x128cm., Musei Capitolini, Roma

La diversa impostazione dei ritratti di Giulio, Marcello e Maffeo Barberini, denota l'abilità del Cortona nel sottolineare l'indole psicologica dei personaggi: il Cardinale e il papa, uomini politici e di potere, presentano lo sguardo inquisitivo e ironico, immersi nella gamma dei rossi iridescenti delle vesti, mentre Marcello, oltre che banchiere anche poeta ed esteta, viene inquadrato nelle scure tonalità consone allo spirito contemplativo di uomo delicato ed elusivo. 
Il Marchese Marcello infatti, era particolarmente attratto dalle arti, con doti ed inclinazioni che lo legarono ad Urbano VIII, di cui fu forse il miglior amico. Marcello, considerato un grande conoscitore di pittura, fu capace di fiutare il gusto e l'attualità non solo di Cortona, ma anche del giovane Nicolas Poussin (1594-1665).

La cronaca del tempo narra che, a ventitre anni, Cortona fu notato da Marcello per una copia della Galatea di Raffaello, uno studio eccellente che non sfuggi al Marchese Sacchetti

Pietro, proveniente da una famiglia modestamente agiata di scalpellini e muratori del luogo, da cui trasse il nome d'arte "Cortona", oltre a pittore, si formava anche come architetto. 
Giunto a  Roma nel 1612, il precoce giovane metteva a punto la sua formazione tutta toscana, avvenuta presso parenti, architetti e pittori, specializzati in copie dall'antico. Per questo, nella cerchia degli artisti fiorentini attivi nell'Urbe, Cortona fu subito impiegato nella copia di antichità romane. 
A partire dal 1620 circa, il Marchese Marcello apriva le porte della sua prestigiosa collezione d'arte a Cortona e lo introduceva nel "circolo dei "virtuosi", come detta all'epoca la cerchia dei ricercati amatori di antichità classiche promossa dall'erudito Cassiano dal Pozzo (1588-1657). 

Cortona, particolarmente incline alla romantica "nostalgia archeologica", trovava nella collezione  dell'amico Cassiano una fonte inesauribile di idee: statue, frammenti di bassorilievi, calchi, lapidi, iscrizioni e piccoli bronzi, erano visibili assieme a grandi libri di disegni con copie dall’antico

Tra le grandi novità pittoriche offerte dall'Urbe, Cortona iniziava ad elaborare lo stile Barocco e in particolare, quello che Daverio definisce "da palazzo", maturato sulle suggestioni dell'amatissimo Raffaello, mitigato dal naturalismo emiliano di Annibale Carracci (Annibale Carracci e Palazzo Farnese a Roma), Lanfranco (Lanfranco e Domenichino a Sant'Andrea della Valle), Domenichino (Domenichino: il sentimento "naturale" del classico) e Guercino (L'affresco barocco: da Guercino a Cortona). 


Francesco Salviati, Storie di David, dettaglio, 1553-'54, Palazzo Sacchetti, Roma

Dentro palazzo Sacchetti, Daverio presenta il ciclo pittorico delle "Storie di David" (1553-'54), affrescate nel Salone dell’Udienza dal toscano Francesco Salviati (1510-1563), un esempio di Manierismo emblematico per la formazione culturale del giovane Cortona, intrisa di amore per l'archeologia. 

Un tripudio di figure, plasticamente definite e in gesti enfatici, popolano le pareti e affiancano composizioni in riquadri disposti a fregio su sfondi di architettura dipinta

Questi trompe-l'oeil, ispirati a decorazioni antiche e di gran moda nel Cinquecento, conferivano uno straordinario decoro al palazzo e aprivano la strada alla decorazione barocca, come successe a Bologna con Pellegrino Tibaldi e l'esordio dei tre Carracci (L'esordio di Ludovico, Annibale e Agostino Carracci).


Pietro da Cortona, Madonna con Bambino, affresco staccato, Palazzo Sacchetti, Roma

Nella Galleria del palazzo, rimangono due sole testimonianze di Pietro da Cortona, una Sacra Famiglia ispirata alla dolcezza di Guido Reni (Guido Reni e la scuola dei Carracci a Roma), e un solenne Adamo ed Eva, due riquadri di affresco staccato, dei quali non sappiamo la provenienza, ma di sicuro dipinti dal pittore toscano per i Sacchetti, tra il 1627 e il '29.


Pietro da Cortona, Adamo ed Eva, affresco staccato, Palazzo Sacchetti, Roma

In questi anni, Pietro da Cortona diventa "l'artista di casa" Sacchetti; per la famiglia dipinge più di quindici quadri, ma soprattutto, inizia anche la sua carriera di architetto della attuale Villa Chigi (edificio comperato dalla famiglia senese nel '700), sorta a Castel Fusano nella campagna dell’Agro Laurentino, nel mezzo di una radura ricavata in una zona selvaggia e incontaminata.
Commissionata nel 1623 dal Cardinale Giulio Sacchetti, e portata a termine nel 1629, gli interni della Villa furono decorati ad affresco da Cortona con scene di grandi paesaggi naturali; qui, l'artista toscano aveva tra gli aiuti, il pittore più "classicista" del Barocco romano, Andrea Sacchi (1599-1661).


Andrea Sacchi, Allegoria della Divina Sapienza, 1628-'33, dettaglio affresco, Palazzo Barberini, Roma

Nei primi anni Trenta del Seicento, Cortona tornerà a confrontarsi con il Sacchi nei rispettivi affreschi di Palazzo Barberini, concepiti secondo diverse concezioni pittoriche: quella barocca di Cortona, brulicante di figure e quella classica di Sacchi, più sobria e pulita (Palazzo Barberini: il manifesto del Barocco). 

All'età di trent'anni, Cortona si afferma nella scena pubblica con la prima commissione papale dei Barberini, grazie alla mediazione di Marcello Sacchetti

Cortona realizza gli affreschi della Chiesa di Santa Bibiana (1626), oggi gioiello artistico Barocco, sorta su un antico nucleo del V sec. d.C., e ampliata in occasione del ritrovamento delle spoglie della Santa. 
Il restauro fu affidato all'artista di casa Barberini, Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), autore anche della statua d'altare della Santa. Bernini e Cortona, erano entrambi nella fase iniziale della carriera, ma il primo, aveva già da qualche anno tra i suoi committenti Scipione Borghese e Maffeo Barberini, al soglio nel 1623, come Urbano VIII. 
Cortona, diede un grande contributo alla decorazione pittorica della piccola chiesa romana, mostrando con il suo lavoro un notevole discrepanza rispetto agli affreschi della navata destra eseguiti del vecchio pittore fiorentino Agostino Ciampelli (1565-1630). 

L'artista rivela un talento particolare nel far emergere i primi chiari segni del Barocco romano, una poetica elaborata di sicuro, anche nella frequentazione ravvicinata con il suo capocantiere Bernini  

Cortona sperimenta un linguaggio innovativo e ricostruisce dettagliatamente i fatti storici facendo omaggio alla cultura antiquaria, condivisa dalla corte dei Barberini, qui declinata in scene teatrali, con personaggi in gesti enfatici e vesti fruscianti. Inoltre, la ricerca di una prospettiva che renda profondità alle scene, l’attenzione alla riproduzione delle architetture antiche, le composizioni di frutta in soluzioni monocrome, si uniscono ad una accesa tavolozza d’ascendenza veneta che l'artista riscopre e ripropone (Immagini degli affreschi di Santa Bibiana). 


Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza, 1632-'39, affresco, particolare

Dopo il successo di Santa Bibiana, Urbano VIII assegnava a Cortona la sua commissione più ambiziosa, quella della decorazione del salone centrale del nuovo palazzo Barberini, l'ambiente di rappresentanza più importante per la famiglia. 
Eseguito tra 1633 e il 1639, il grandioso affresco della volta si sviluppa su una superficie di 530 metri quadri e presenta il tema allegorico del Trionfo della Divina Provvidenza, un'esaltazione della gloria della famiglia papale di Urbano VIII, elaborata dal poeta ed erudito toscano Bracciolini (Palazzo Barberini: il manifesto del Barocco).
Ultimata la volta Barberini, il Cardinal Giulio Sacchetti conduceva al suo seguito a Firenze, il “pittore di casa”, presso il Granduca Ferdinando II. Gli affreschi di Cortona a Palazzo Pitti, rappresentano il trionfo barocco dell'artista (Firenze. Pietro da Cortona a Palazzo Pitti).


Pietro da Cortona, dettaglio della Galleria Palatina, Palazzo Pitti Firenze

Nei suoi pochi edifici e progetti, tutti di altissimo livello, a differenza di Bernini e Borromini, Cortona propone un'architettura colta, meditata sulla tradizione classica cinquecentesca. 
Principe dell'Accademia di San Luca (1634), durante il papato di Urbano VIII, Cortona progettò la "chiesa degli artisti", ossia quella dei Santi Luca e Martina, al Foro Romano, di impianto a croce greca. Da lui definita "la figlia diletta", Cortona chiese espressamente di essere seppellito nel luogo.
Tra le numerose commissioni importanti che Cortona ricevette  durante il papato di Alessandro VII (1655-1667), spicca il restauro della facciata della chiesa di Santa Maria della Pace (1656-1667), un edificio di impianto quattrocentesco, trasformato dall'artista con un'idea tipicamente barocca. L'edificio infatti, viene spinto in avanti sulla piccola piazza antistante, tra due ali concave, a simulare un palcoscenico teatrale (Immagini di Santa Maria della pace).

FOTO DI COPERTINA
Gian Lorenzo Bernini, Ritratto di Gentiluomo (Pietro da Cortona), olio su tela, 35x35cm., Collezione Privata, Roma 

APPROFONDIMENTI
Alessandro Zuccari. Il Barocco in pillole
Pietro da Cortona

La libertà di Bernini